Diffondere, non escludere

“Non vi chiediamo di venire qui, anche se tutti sono come sempre benvenuti, vi chiediamo di lottare nelle vostre città e paesi. Vi chiediamo di diffondere la resistenza”. Dall’ultimo appello dalla Val di Susa, emerge con chiarezza la necessità che un movimento popolare come quello No Tav sia radicato sempre più sul territorio. Nel segno naturalmente dell’inclusione con le variegate realtà sociali e politiche che, da un capo all’altro della penisola, si battono quotidianamente contro i ben noti “principi” ispiratori della logica delle grandi opere inutili. Ma non tutti pensano che l’inclusione e la condivisione delle lotte sia un fattore positivo, almeno a giudicare dallo sconsolato commento di un intellettuale-artista come Marco Rovelli dopo una manifestazione milanese a sostegno del movimento No Tav: “Ieri, al corteo, la maggior parte dei partecipanti era con la divisa da ‘centro sociale’. Nessuna voglia di comunicare con la città, di cui invece si dovrebbe cercare il consenso: nessuno, per esempio, che dava volantini ai passanti. Avrebbe dovuto essere piena di compagni che informano i passanti. Invece, niente. Solo scritte a tutto spiano sui muri, e cori adolescenziali contro la polizia. E petardi, giusto per creare quell’atmosfera di tensione che fa tanto ‘guerrigliero’. A che serve? A se stessi, in chiave identitaria. A nient’altro. Anzi, questo atteggiamento fa solo danni. Per contrasto, ripenso alla manifestazione dublinese contro i tagli, e contro la tassa sulla casa. Era grande, allegra, determinata, e fatta di tanta gente, di tutte le età, di tutti i colori. Come per il movimento No Tav in valle peraltro: e dunque, non è tradito il movimento No Tav, in questo modo? Non si fanno danni alla causa che si vorrebbe difendere? Ne ho abbastanza, di chi si diverte a giocare alla guerra”.
Sono parole, quelle di Rovelli, che segnalano chiaramente quello che l’intellettuale-artista considera un rischio per un movimento come quello No Tav, che aspira ad essere popolare e radicato nel paese: essere usato, come un autobus in cui si entra e si scende, per altri scopi. Ben diversi da quelli originari, anche se c’è da scommettere che soprattutto i più giovani lo facciano in buona fede.

Riccardo Chiari


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