Testo Unico sulla Rappresentanza, come sciupare una buona intesa - di Andrea Montagni

L’intesa del 10 gennaio che applica gli accordi del 28 giugno 2011 e 31 maggio 2013 sulla rappresentanza sta sconquassando la Cgil. Nel direttivo nazionale 58 su poco più di 170 non hanno partecipato al voto, 2 si sono astenuti, 13 hanno votato contro, 95 hanno votato a favore dell’ordine del giorno presentato dalla maggioranza della segreteria confederale. A nome di Lavoro Società chi scrive ha letto una dichiarazione di non partecipazione al voto.
Un pessimo esito per un accordo che avrebbe potuto e dovuto rappresentare una tappa della conquista di norme certe, democratiche, per definire la rappresentatività delle organizzazioni sindacali e per validare con il voto dei lavoratori contratti collettivi di lavoro validi “erga omnes”.
Eppure l’accordo segna significativi passi in avanti e risponde alla definizione di criteri di rappresentatività dei sindacati (la loro rapprentatività è definita sulla base di un mix ponderato tra sindacalizzazione e voto riportato nelle elezione di Rappresentanze sindacali unitarie), così come rispetto all’applicabilità erga omnes degli accordi stessi (attraverso referendum confermativo per i contratti nazionali) e sottoscrizione a maggioranza delle Rsu in quelli aziendali con elezione delle Rsu medesime a suffragio universale con il proporzionale puro e riconoscimento della titolarità senza tutele dei sindacati.
L’accordo vincola soltanto le organizzazioni sindacali e padronali che lo sottoscrivono e non può essere imposto a terzi. Questo è al tempo stesso un bene e un limite. Solo una legge può determinare diritti e obblighi che valgano per tutti!
La legge ci voleva prima e ci vuole ancora.
Ma ci sono due ‘ma’ che sciupano tutto. Il primo ma riguarda il merito. Il secondo ma riguarda il metodo. E dal metodo discende, non a caso, anche il problema di merito.
Il testo introduce sanzioni in caso di violazione delle norme pattizie. Le sanzioni possono prevedere anche limitazioni ai diritti sindacali contrattuali e pene pecuniarie. Dal testo dell’intesa si evince che esse potrebbero riguardare anche i singoli delegati. Un meccanismo che rischia di cadere in tribunale in caso di contenzioso perché di dubbio valore costituzionale e in violazione dello Statuto dei lavoratori. E che rappresenta un “vulnus” nel rapporto tra delegati e lavoratori.
Il metodo seguito ha determinato questo pasticcio. Un confronto di cui la segreteria nazionale come organo collegiale, il direttivo nazionale come organo sovrano, le segreterie di categoria come destinari dell’intesa si sono trovati la pappa scodellata. Un’intesa come questa richiedeva una discussione approfondita non solo nel gruppo dirigente ristretto, ma nell’insieme dei quadri e dei delegati.
Ora il pasticcio è stato fatto. Sarà dura depotenziare gli aspetti negativi ai tavoli contrattuali e soprattutto recuperare la fiducia di tante delegate e delegati che vivono questo accordo come una sconfitta e un passo indietro e che non colgono gli elementi di positività che pure vi sono.
Con il non voto in direttivo nazionale confederale Lavoro Società ha segnato la propria estraneità ad un metodo inaccettabile e la necessità di una battaglia di contenuti per annullare i meccanismi sanzionatori.


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