Confcommercio. Riflessioni sulla rottura del negoziato

A metà giugno è stato rotto dalla controparte il tavolo di trattativa per il rinnovo del contratto dei lavoratori del settore terziario aderenti a Confcommercio.
Avere chiara la responsabilità della rottura non è fatto secondario.
Circola una leggenda metropolitana – che a forza di essere raccontata è diventata senso comune – sul fatto che le categorie della Cgil e la Cgil stessa siano per così dire refrattarie alla firma. E’ il contraltare dell’altra leggenda – che a forza di esser raccontata è diventata anch’essa di senso comune, sebbene sia in totale contraddizione colla prima –, quella che la Cgil e le sue categorie siano pronte a firmare qualsiasi cosa.
L’andamento della trattativa, nel corso della quale puntualmente la delegazione Filcams ha avanzato proposte su tutti i punti affrontati nella discussione senza mai tirarsi indietro e coinvolgendo l’intera delegazione in ogni passaggio negoziale, testimonia la pervicacia con la quale la categoria ha cercato in tutti i modi di centrare due obiettivi: il superamento del contratto separato e la firma di un nuovo contratto collettivo.
La rottura del tavolo negoziale è stata l’occasione non voluta per una riflessione a tutto campo nel gruppo dirigente della Filcams sulla contrattazione e sul rapporto con i lavoratori alla vigilia dell’uscita del segretario generale che è stato eletto nella segreteria confederale.
La rottura del tavolo negoziale ci ha permesso di verificare – purtroppo “in negativo” – come oggi non esistano le condizioni di un nuovo accordo separato, poiché l’unità tra Filcams, Fisascat e Uiltucs ha “retto” anche di fronte a differenze di valutazione che pure sono emerse nel corso della trattativa e questo è un segnale positivo rispetto al tavolo aperto con Federdistribuzione e quello che si aprirà con la cooperazione.
La discussione, che è stata ampia, a partire dalla delegazione negoziale e nei due direttivi nazionali che si sono tenuti alla vigilia e dopo la rottura, ha evidenziato due nodi di grande rilievo per un possibile esito positivo della trattativa: contrattazione degli orari di lavoro e ruolo del sindacato e dei delegati nella contrattazione di secondo livello e segnali chiari di superamento di punti critici del contratto separato. Ed ha evidenziato anche un problema che certo le controparti non hanno avvertito ma che è ben presente alla massa dei lavoratori: la questione salariale.
La Filcams ha condiviso unanimemente le scelte fatte al tavolo negoziale. La sua unità è uscita rafforzata. Dire che la categoria è unita però non vuol dire che il dibattito non ci sia stato e non ci siano state articolazioni, sia prima della mancata stretta finale, sia dopo nella registrazione della rottura voluta da Confcommercio. Anzi, la discussione c’è stata eccome!
Come compagni di Lavoro Società, tanto nelle delegazioni regionali quanto nella delegazione trattante, oltre che nel dibattito del Direttivo nazionale, abbiamo dato un contributo critico e unitario e ci siamo riconosciuti in una conclusione che evidenzia coerenza e unità della Filcams.
Per i lavoratori si apre un fase difficile. Il mancato rinnovo del contratto comporta – salvo provocazioni delle controparti – la ultrattività dell’accordo separato con i problemi che esso ha creato e il mancato riconoscimento della perdita del potere d’acquisto delle retribuzioni. Una fase di stallo non è una buona cosa, anche quando rappresenta l’alternativa ad un pesante passo indietro o ad una sconfitta frontale in campo aperto.
Alla Filcams, adesso, spetta il difficile compito di costruire nuove condizioni per arrivare al rinnovo del contratto in rapporto con i lavoratori e unitariamente a Fisascat e Uiltucs, giocando anche sugli altri tavoli contrattuali aperti per lavoratori del terziario.
Il mancato rinnovo contrattuale avrà conseguenze ambivalenti nella massa dei lavoratori. I più consapevoli e sindacalizzati apprezzeranno la determinazione dei sindacati e “lo scampato pericolo”, tanti, specie nelle piccole realtà dove il sindacato arriva solo in sede vertenziale o di tutela individuale o di servizio, potranno ascoltare le sirene di padroncini che attribuiranno al sindacato la responsabilità dei mancati aumenti salariali.
Noi però dobbiamo considerare come un bene prezioso l’aver difeso gli spazi di contrattazione sulle condizioni di lavoro e il “potere” delle nostre Rsa-Rsu nei luoghi di lavoro, perché quel “potere” costituisce la condizione sine qua non della presenza e della vitalità del sindacato confederale nei luoghi di lavoro.


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