Caro Renzi, gli spot non bastano - di Riccardo Chiari

Anche a Radio Uno Rai si inizia a spiegare agli ascoltatori il significato della parola “deflazione”. Mentre gli ultimi dati Istat sul sistema produttivo italiano segnalano un calo di fatturati, ordinativi e perfino dell’export, a dimostrazione che la crisi è ben lontana dall’essere finita. Però il governo preferisce dedicarsi alle riforme istituzionali, forse perché in questo contesto è più facile usare la parola magica dell’innovazione. Niente si muove invece sul fronte delle politiche industriali e del lavoro. Le sole che potrebbero far ripartire i consumi, e avviare un ciclo virtuoso con effetti positivi anche sulle filiere del commercio e dei servizi. “Vediamo una totale disattenzione sui temi lavoro, dell’industria, e su quali scelte di investimento fare – tira le somme Susanna Camusso - gli unici provvedimenti sui quali si sta ragionando riguardano la delega sul lavoro, nella convinzione che il problema siano le regole sul mercato del lavoro. Ma la verità è che ci sono tre milioni di disoccupati che non trovano un posto per il blocco del turnover imposto dalle norme previdenziali, e che non vengono tutelati dall’incertezza sull’applicazione degli ammortizzatori e dei contratti di solidarietà”. Così, invece di aiutare disoccupati, sottooccupati e precari ad avere un futuro più decente, l’esecutivo di Matteo Renzi assiste (spesso silente) a continue ristrutturazioni aziendali, fondate su un ulteriore restringimento dell’occupazione. “Il governo dica cosa fare”: un appello che è anche un sos, quello della segretaria generale della Cgil. Ma come può rispondere un governo che preferisce dedicarsi alla quotidiana pratica dello spot pubblicitario, invece di prendere sul serio i dati sempre più negativi che arrivano dall’Istat, dalla Cgil e dalla stessa Confindustria?


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