Sigonella, si fa presto a dire America - di Frida Nacinovich

Un pezzo di territorio Usa in Sicilia, tra Siracusa e Catania. Anche questa è Sigonella, che dal 1959 ospita una base aerea a stelle e strisce. In quella base Saro Pellegrino lavora, da più di quarant’anni.
“Era il 1974 - ricorda - quando fresco di diploma classico entrai a Sigonella come operaio. Non ci misi molto ad imparare l’inglese e dopo due anni ero già impiegato”. Rappresentante aziendale per la Filcams Cgil, Pellegrino è una sorta di mosca bianca. “Non è stato per nulla facile fare il rappresentante sindacale dove comandano gli americani”. Vista l’anzianità di servizio, Pellegrino è la memoria storica di Sigonella, ne ha seguito le evoluzioni per quasi mezzo secolo. “Oggi gli impiegati civili italiani all’interno della base sono circa novecento, un tempo eravamo ancora di più, qualche taglio di personale in questi ultimi anni c’è stato”. I trattati bilaterali che regolano i rapporti fra l’amministrazione italiana e gli Stati Uniti risalgono in massima parte all’immediato dopoguerra, quando le truppe alleate contribuirono alla sconfitta di fascisti e nazisti. “Negli accordi iniziali - ricorda ancora Pellegrino - era specificato che la base Usa avrebbe dovuto assumere solo lavoratori del posto. Eccezion fatta, naturalmente, per i ruoli ‘top secret’. In realtà questo accordo non è mai stato rispettato dalle autorità militari, prova ne è che c’è stato un grande aumento di personale civile americano all’interno della struttura. Un incremento massiccio e discutibile: come sono stati assunti? Con quale criterio?”. Una delle particolarità di Sigonella è che i rapporti di lavoro sono direttamente stipulati dal governo federale. “In Spagna e Germania non è così”, puntualizza Pellegrino. Nelle basi iberiche e tedesche degli Stati Uniti i dipendenti civili passano attraverso l’esame dei rispettivi governi nazionali. Una complicazione in più per chi, come Saro Pellegrino, ha sempre svolto attività sindacale. “Offro il mio contributo alla comunità”, scherza Pellegrino, che poi torna serio. E racconta: “Quando sono entrato a lavorare, nel 1974, la Cgil non era ammessa. All’epoca l’unica rappresentanza sindacale era quella della Cisl, la Fisascat. Mi ci iscrissi, nonostante le differenze di - chiamiamola così - sensibilità politica. Negli anni ottanta i nodi vennero al pettine, in polemica con l’allora dirigenza della Fisascat, passai alla Uiltucs. Ma anche con la Uil le cose non filarono lisce, mi accusavano di non essere ‘uomo di struttura’, andò a finire che insieme a me uscì l’intero direttivo. E duecento iscritti decisero di non rinnovare la tessera”.
Passano gli anni, cambiano i tempi e alla fine succede anche quello che una volta era ritenuto impensabile: la Cgil può entrare a Sigonella. “Pensa che anomalia - osserva Pellegrino - il comando statunitense stabiliva, a priori, che gli unici interlocutori sul piano sindacale potevano essere Fisascat e Uiltucs. Insomma, decidevano loro chi ci doveva rappresentare a casa nostra”. Anche perché bisogna ammettere che i militari americani hanno sempre avuto un fortissimo peso specifico nell’intero scacchiere europeo occidentale. “Una volta varcati i cancelli della base - sottolinea Pellegrino - anche le più elementari rivendicazioni possono diventare un’odissea. È come se fossimo all’estero. C’è stato un nostro collega che è stato licenziato. Ha fatto ricorso alla magistratura, lo ha vinto, ma nessuno gli risponde. La Filcams preme, da tempo, direttamente sul governo italiano perché si faccia sentire con l’amministrazione Usa”.
In quarant’anni da queste parti ne son successe di cose, ci fu un momento in cui l’intero paese scoprì l’esistenza di Sigonella, nel caso dell’Achille Lauro, e delle frizioni aperte fra Ronald Reagan e Bettino Craxi. Poi le tensioni, ad esempio nei mesi successivi agli attentati dell’11 settembre 2001. “‘Mi ricordo quei tempi, a Sigonella c’era un clima surreale. E noi ci sentivamo un po’ abbandonati a noi stessi”.
Gli addetti civili italiani della base entrano a lavoro alle 7,30 ed escono alle 16. I lavori che fanno sono fra i più vari: ci sono operai manutentori, geometri, ingegneri, addetti alla logistica aeroportuale e poi ci sono i servizi, a partire dagli alberghi. Insomma la base di Sigonella è una città nella città. “Fare sindacato qui dentro presuppone una quantità di conoscenze fuori dal comune”, tira le somme Pellegrino. “Quattro anni fa ci siamo battuti contro il licenziamento di alcuni colleghi. Non sapere quale sarà il futuro lavorativo di persone che conosci è davvero pesante, anche umanamente - riflette Pellegrino - Siamo venuti a Roma per trattare. Esisteva una legge, la 98 degli anni sessanta, che prevedeva il riassorbimento da parte dello Stato del personale in esubero. Ma durante il governo Berlusconi questa legge non era stata rifinanziata”. Tant’è.
Contrariamente alla leggenda, che dipinge i lavoratori delle basi americane in Italia come dei privilegiati, i problemi non mancano. E su tutto un interrogativo che resta nel vento di Sigonella: “Se lo scopo della base è quello di difendere il territorio da attacchi esterni, all’interno di un sistema di alleanze consolidato come quello che lega gli Stati Uniti e i paesi dell’Europa occidentale, mi chiedo perché noi lavoratori italiani non dipendiamo dal nostro ministero della Difesa”.
Lo stesso articolo è stato pubblicato su “Sinistra sindacale, periodico di Lavoro Società - sinistra sindacale confederale”, n. 9 del 2015


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