La Cgil NEgli anni ‘80: il referendum sulla scala mobile - di Gianluca Lacoppola

Spunti per un’indagine sulle strutture organizzative sindacali (2)

La CGIL degli anni Ottanta del secolo scorso si trova a dover affrontare una fase in cui il suo ruolo viene a perdere centralità nella dinamica politica italiana. Nel corso del decennio precedente il sindacato italiano si era trovato infatti a svolgere il difficile e indispensabile ruolo di far entrare i lavoratori nella cosiddetta base sociale dello Stato, cioè di coloro che si riconoscevano e si sentivano rappresentati dalle istituzioni repubblicane.

Erano infatti diventate ingestibili per le cassi dominanti del nostro paese almeno due contraddizioni: la totale assenza di regole democratiche nei luoghi di lavoro e la nuova forza di una classe operaia centrale in netto aumento di forza grazie ai processi di industrializzazione di quegli anni; e l’avvio di una società di consumi e i bassi salari. Data la natura “protetta” del nostro sistema politico, in cui era di fatto impedito ai comunisti di concorrere al governo del paese, il processo di integrazione delle classi lavoratrici non può essere però guidato dalle forze politiche. È in questo contesto che i sindacati, soprattutto a partire dal biennio 1968-1969 assumono tale funzione in cambio di sostanziali miglioramenti delle condizioni dei lavoratori.

Nel corso degli anni Ottanta i sindacati conoscono però una nuova marginalizzazione. Le cause sono in primo luogo di ordine economico: imponenti processi liberisti internazionali, riorganizzazione capitalista all’interno della nuova integrazione europea che incentiva nel nostro paese lo sviluppo della piccola e media impresa nei nuovi distretti industriali e l’esplosione dei servizi e dell’industria turistica.

Politicamente la costruzione del consenso da parte delle classi dominanti passa non più dal patto sociale costituzionale riscoperto e riattualizzato negli anni Settanta, bensì da un incremento senza controllo del debito pubblico, dal diffondersi di forme più o meno manifeste di illegalità, dalla tolleranza (e quasi incentivazione) dell’evasione fiscale e non ultimo da un utilizzo del potere politico per creare clientele attraverso un sistema spregiudicato di favori.

In questo contesto l’unità sindacale si sfalda, e la CGIL torna ad essere duramente attaccata nei luoghi di lavoro. Inoltre per la prima volta in modo così evidente, all’interno della CGIL si manifesta la frattura tra correnti comunista e socialista sul tema della difesa della scala mobile.

Il 22 gennaio 1983 in una fase di mancato rinnovo dei contratti nazionali CGIL-CISL-UIL firmano il cosiddetto Lodo Scotti in cui accettano per la prima volta la diminuzione del grado di copertura di contingenza. Un anno dopo il primo governo Craxi taglia ulteriormente la scala mobile. La CGIL si spacca con la componente socialista disposta a fare sponda alle scelte del governo e la maggioranza comunista che schiera la CGIL da sola contro il governo. CISL e UIL firmano invece un accordo separato, una pratica che torna a riaffacciarsi dopo molti anni. Nel 1985 sulle modifiche alla scala mobile si tiene un referendum fortemente voluto dal PCI e che vede la CGIL nell’imbarazzo della propria spaccatura. I lavoratori perdono e negli anni successivi la scala mobile viene ulteriormente disarticolata. La più grande battaglia degli anni Ottanta viene persa radicalmente dalla CGIL. E viene persa anche perché il principale sindacato italiano continua a comportarsi da un lato come sostituto della politica nella rappresentanza del lavoro, pur avendo esaurito sia gran parte della sua forza per i mutamenti produttivi in corso, sia il tacito consenso delle classi dominanti, dall’altro cercando di ripuntare sulla sua natura contrattuale senza però aver fatto pienamente i conti con le nuove realtà operaie e la conseguente diminuzione di conflittualità. Contraddizioni che troveranno una qualche soluzione negli accordi dei primissimi anni Novanta.

[L’articolo precedente è stato pubblicato su “reds”, n. 2, marzo 2016]


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