C'è posta per te - di Dafne Conforti

A proposito di “quella” busta arancione dell’INPS

Sono già 150mila gli iscritti all’INPS e sprovvisti di PIN a cui è stata inviata la famosa “busta arancione” nel quadro dell’operazione “la mia pensione”. Entro la fine dell’anno dovrebbe essere recapitata a 7 milioni di lavoratori. Il colore arancione della busta risponde ad una cervellotica operazione di marketing: arancione era il colore della busta inviata negli anni 70 dalla previdenza svedese ai propri assicurati e la Svezia, si sa, fa tanto, tanto, stato sociale…

Nell’aprile 2015, il Presidente INPS Boeri, con la consueta sicurezza, smentiva costi aggiuntivi per l’operazione “la mia pensione”: la Legge di Stabilità avrebbe permesso l’aumento delle spese postali! Dopo un anno l’INPS ha raggiunto un accordo con l’Agenzia per l’Italia Digitale, controllata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, per un costo complessivo di 2,5 milioni. L’Istituto concorrerà alla spesa con 1 milione (sottratti ai contributi).

La controriforma Dini (Legge 335/1995) aveva previsto l’obbligo di inviare a tutti gli iscritti INPS, “con cadenza annuale”, un estratto conto che indicasse i contributi versati, la posizione assicurativa e la progressione del montante contributivo (metodo di calcolo utilizzato nel calcolo pensionistico). Tale obbligo si è dunque concretizzato con 16 anni di ritardo con la busta arancione.

“Casualmente” la scelta dei primi 150.000 riguarda soprattutto gli under 40, mentre solo il 25% sono over 50. La fascia generazionale nella quale si suppone la massima diffusione degli strumenti informatici è quella che viene “campionata” per prima (ricordate che riceve la busta arancione chi è sprovvisto di PIN!), mentre quella che sarebbe più interessata a conoscere la propria situazione previdenziale perché vicina all’età pensionabile e che si supporrebbe meno informatizzata è la meno “attenzionata”. Un primo indizio del senso dell’operazione.

La busta contiene: 1) l’estratto conto contributivo (non certificato) che chiunque, anche non dotato di PIN, può sempre controllare, segnalando eventuali anomalie, rivolgendosi all’INCA o ad uno sportello INPS; 2) la previsione della pensione tenendo “conto della normativa in vigore” e basandosi su “età, storia lavorativa e retribuzione/reddito”. Sulla base di questi elementi vengono indicati “la decorrenza, l’importo previsto della pensione e il suo rapporto con l’ultima retribuzione stimata (cosiddetto ‘tasso di sostituzione’)”; 3) i contributi futuri simulati, cioè una stima teorica dell’INPS in base all’attuale lavoro, con l’avvertenza che “il risultato può variare in rapporto all’andamento” della “futura vita lavorativa”. Tale simulazione è standard: presuppone un Pil e una retribuzione in crescita dell’1,5% (sic!) e sull’assenza di periodi di disoccupazione o comunque di mancato versamento di contributi.

Se l’INPS avesse inviato le ‘simulazioni’ all’epoca in cui dovevano essere inviate, quante di queste sarebbero state vagamente plausibili visti gli interventi manomissori del sistema previdenziale pubblico che abbiamo subito dal 1995 ad oggi? Per di più, la simulazione previdenziale di un under 40 senza alcuna certezza lavorativa è puramente arbitraria. Il problema non è solo la pensione a 70 anni (che purtroppo riguarda anche gli over 40) ma anche e soprattutto la misura. La soluzione implicitamente suggerita è conseguente: bisogna ridurre le pensioni in essere e favorire la pensione integrativa.

I giovani che non hanno ancora lavoro si doteranno di PIN e scopriranno che la loro pensione sarà bassissima. Allora l’operazione busta arancione avrà raggiunto l’obiettivo di dare una spallata ulteriore alla credibilità della previdenza pubblica.
L’operazione non ha ottenuto il consenso sperato, ma soprattutto critiche. Ecco quindi il rilancio della campagna contro le “pensioni” dei parlamentari (che poi sono vitalizi e che con le pensioni non c’entrano per niente). Ma… tutto fa brodo!


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