Quando il neoliberismo "entra" nei rinnovi contrattuali - di Fabrizio Pilotti

Antagonismo culturale, forza e azione: va rafforzato l’impegno dei delegati

E' un momento difficile per la società moderna e di conseguenza per le associazioni di massa che vivono dentro essa. La tenuta collettiva è sempre più labile. Le forze individualiste, quasi per incantesimo, si insidiano all’interno della società, diventando meccanismi di un ingranaggio che trascina il singolo cittadino sempre di più verso l’isolamento, contrapponendolo alla forma collettiva.

Ma, del resto, questa è una storia che viene da lontano: il tentativo da parte del capitalismo di aumentare il proprio rapporto di forza nei confronti della forza lavoro si basa anche sul principio etico-culturale di utilizzare l’individualismo come strumento.

Se nel passato abbiamo conosciuto anni eclatanti per il movimento dei lavoratori, “le grandi conquiste”, è anche grazie alla straordinaria capacità di sapersi riunire e dotarsi di una politica organizzativa in grado di individuare degli obiettivi, con percorsi a lungo e breve termine, ma il tutto con una regia di un pensiero politico che riconosceva il valore della collettività a prescindere. Con essa nasceva l’ambizione di costruire e migliorare la società, attraverso strumenti solidali, come i contratti nazionali del lavoro, la previdenza sociale in tutte le sue forme, un diritto allo studio equo e solidale e una sanità pubblica per riconoscere il diritto alla cura. Quindi, diritti individuali e collettivi.

E’ chiaro che attualmente viviamo una fase difensiva, dopo anni di crisi economica sommata alle scelte avventuristiche di una parte della politica che ha scelto di non avere più come riferimento il mondo del lavoro. L’intera società è fortemente disorientata e messa sotto scacco dalle dinamiche capitalistiche e finanziarie, che hanno posto fortemente in discussione il modello solidale costruito, squilibrando i cardini fondativi su cui dovrebbe essere poggiata una moderna società industriale.
Il lavoro da fare è complesso e lungo, ma non ci scoraggiamo: la fase sociale-politica che viviamo ci consegna una realtà, è da essa che dobbiamo ripartire.

La messa in discussione delle condizioni materiali dei lavoratori, disoccupati e pensionati di intere generazioni è anche frutto dello scontro culturale in atto; chi propugna il pensiero neoliberista si prefigge l’obiettivo di rimettere fortemente in discussione quei valori che dovrebbero rappresentare un saldo punto di riferimento verso un mondo solidale; valori che, invece, sono fortemente messi in discussione, e indicati come fallimentari e causa della crisi economica.

Al centro dell’universo dovrebbe esserci “l’uomo” nel senso più alto e filosofico del termine, invece continuano ad essere protagonisti i mercati finanziari e si pretende che tutto debba girare attorno ad essi.

Sentiamo dire che “i mercati sono agitati”, “i mercati rifiutano”, sentiamo parlare di “fiducia dei mercati”... concetti identitari di un chiaro modello economico, in una visione globale di dominio finanziario, contrapposti alle esigenze della reale vita quotidiana, divenuti però un modello di riferimento. Aspetto, questo, che a volte crea la neutralizzazione dell’azione dei lavoratori e la loro difficoltà a riconoscere gli strumenti da utilizzare per dare una risposta collettiva. Oggi, per assurdo, anche lo sciopero è fortemente messo in discussione, e non solo per ragioni economiche, che rappresentano una minima parte del problema, ma per effetto di un sentimento comune di impotenza, che si va a sommare alla smisurata regolamentazione introdotta e accettata in questi anni, che limita l’azione degli scioperi stessi.

Noi delegati RSU viviamo tutti i giorni e ad ogni rinnovo del contratto integrativo il frutto di scelte aziendali e politiche nazionali. Le richieste che ci giungono sono sempre più onerose ed è veramente dura mantenere la tenuta unitaria dei lavoratori; è sempre messa a dura prova, oggi più di ieri. Ci scontriamo con quel modello culturale stratificato nella società secondo il quale tali scelte economiche rappresenterebbero l’unica via ragionevole, consolidando nell’immaginario collettivo l’idea che si tratti dell’unica via praticabile.

E’ necessario dunque rimboccarci le maniche e affrontare un duro lavoro; anche la Cgil, a tutti i suoi livelli, deve assumere un ruolo centrale di antagonismo e ripartire da una lucida analisi reale dei fatti, con determinazione, per far emergere le contraddizioni sociali e orientare la bussola anche verso lo studio di strumenti che ci possano consentire di affrontare lo scontro culturale attuale.


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