Russia 1917 ovvero Gioia e Tormento - di Maurizio Brotini

La pubblicazione di Guido Carpi, Russia 1917. Un anno rivoluzionario, pubblicata recentemente da Carocci, merita di essere letta e meditata. Una scrittura densa che denota la grande padronanza di uno studioso, ordinario presso l’Orientale di Napoli, profondo conoscitore della realtà russa e sovietica, sia sul piano letterario - è l’autore della recente Storia della letteratura russa sempre per i tipi Carocci - che su quello storico-ideologico (si veda al riguardo anche il capitolo sul Marxismo russo nella Storia del marxismo edita dallo stesso editore in tre tomi).

Un tentativo, riuscito, di descrivere ciò che è stato e dei motivi per cui proprio in quel modo è stato. Con quattro livelli.

Una cronaca, avvincente, dei fatti dell’anno rivoluzionario, utilizzando per la prima volta i quotidiani, finalmente liberi dalla censura, con una predilizione per “Russkaja voljia”, antisocialista e “Novaja zizn”, quotidiano socialista indipendente patrocinato da Gorkij.

Una storia, ovvero una interpretazione sistematica del fatto sulla scorta degli studi successivi al 1991, anno della piena messa a disposizione dei documenti degli archivi sovietici, con un confronto costante con la produzione anglosassone e russa, senza cedimenti alla vulgata del comunismo come pura e semplice avventura criminale. Chiari ed esplicitati i punti di vista: centralità della storia sociale per comprendere la rivoluzione, ruolo chiave del 1914 per la crisi del socialismo europeo e gradualista e per la nascita di movimenti di massa volti alla trasformazione violenta dell’intero assetto mondiale, rivoluzione russa come crisi irreversibile delle classi dirigenti e continuità di processo fra il Febbraio e l’Ottobre, necessità di contestualizzare il 1917, evitando il mito delle origini o dell’anno zero, inutilità ermeneutica della categoria del totalitarismo. Utilissimi a questo proposito i brevi ma densi lemmi premessi alla Cronaca vera e propria su Società, Sistema politico, Intelligencija, Populismo, Industrializzazione, Partiti, 1905 e dopo.

Le tesi di fondo sono chiare. Solo Lenin con i suoi bolscevichi, assieme a Trockij, saprà incanalare la forza sovversiva delle masse, inscrivendola in un disegno complessivo di trasformazione in senso socialista.
La Rivoluzione russa è innanzitutto una rivoluzione proletaria: i proletari di Pietrogrado ne costituiscono la dirigenza politica e l’ossatura organizzativa a tutti i livelli. Se la leggenda storiografica ormai dominante li descrive infatti come una massa primitiva ed inconsapevole, facilmente plagiabile da un manipolo di demagoghi, è vero il contrario: in tutti i momenti dirimenti del processo rivoluzionario il proletariato si sarebbe mosso secondo una valutazione razionale dei propri interessi. Un proletariato diretto dai propri elementi più progrediti, dall’elevato livello intellettuale, derivante anche dal fatto che in Russia la taylorizzazione del lavoro era solo ai suoi albori, e un buon metalmeccanico doveva saper fare un po’ di tutto, incluse operazioni che richiedevano una certa conoscenza di algebra, geometria e trigonometria.

Una riflessione storiografica, sollecitata dall’epigrafe all’introduzione, che merita di essere riportata: “La storia non si lascia interrogare da noi sul modo di soddisfare i nostri attuali bisogni né da lei si possono cavare responsi, perché, se qualcosa che noi vorremo fare fallì nel passato, potrebbe non fallire ora; e per converso, qualcosa che riuscì nel passato potrebbe non riuscire ora: tutto dipende dalla situazione che si svolge e dal concorso nostro e dal nostro concreto sforzo di volontà e di azione (Benedetto Croce, Filosofia e storiografia). La Storia non è dunque finita nell’’89, e ciò che sarà dipende anche dalle nostre volontà soggettive organizzate.

E tutto questo ci richiama ad una responsabilità di militanti e dirigenti politico-sindacali che non hanno dismesso l’ambizione di cambiare il mondo. Un mondo da cambiare - magari - proprio secondo le leniniane riflessioni di Stato e rivoluzione, quelle di una società nella quale varranno i principi di ognuno secondo le sue capacità e a ciascuno secondo i suoi bisogni, cioè quando gli uomini si saranno talmente abituati a osservare le regole fondamentali della convivenza sociale e il lavoro sarà diventato talmente produttivo ch’essi lavoreranno volontariamente secondo le loro capacità. Una Utopia? Una Utopia che si era inverata nel fuoco dell’Ottobre. Il grande regista Evgenij Vachtangov, riprovando sul momento l’Ottobre, osservando successivamente un operaio intento a riparare i cavi della tranvia, osservava: “Le mani, le mani dell’operaio mi hanno svelato ogni cosa. Per come quelle mani lavoravano, per come prendevano e riponevano lo strumento, per la calma, sicurezza e serietà con cui si muovevano – io vidi, capii che l’operaio stava riparando i suoi cavi, che li stava riparando per sé. A quella maniera possono lavorare solo le mani di un padrone. In ciò è il senso della rivoluzione”.
La Comune è vinta, vincerà.


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