Accesso alla pensione dei part-time ciclici - di Giorgio Ortolani

Il Governo Gentiloni non si adegua alla normativa europea, la maggioranza parlamentare cassa gli emendamenti alla legge di Bilancio e resta per tantissimi lavoratori part-time la difficoltà di raggiungere il tetto per la maturazione delle 52 settimane


In questi mesi la FILCAMS si è attivata con diverse iniziative al fine di sollecitare il Governo e il Parlamento affinché la normativa italiana si adeguasse alle direttive europee che vietano discriminazioni nell’accesso alla pensione tra lavoratori part-time ciclici e lavoratori full-time. Forti delle numerose sentenze positive e del pronunciamento della Corte di Cassazione: “L’anzianità contributiva utile ai fini della determinazione della data di acquisizione del diritto alla pensione sia calcolata per il lavoratore a tempo parziale come se egli avesse occupato un posto a tempo pieno, prendendo in considerazione i periodi non lavorati”. Abbiamo sollecitato in questi mesi tutti i gruppi parlamentari affinché all’interno della legge di stabilità venissero presentati emendamenti che risolvessero il problema.

La presentazione alla Commissione Bilancio della Camera, da parte di parlamentari del PD e del Movimento 5 Stelle, di due emendamenti alla Legge di stabilità 2018 (cui abbiamo lavorato) ci faceva ben sperare.

Lo stesso numero di lavoratrici, 2250, che, nella sola Lombardia, ci hanno dato mandato di promuovere vertenze all’INPS per il riconoscimento ai fini dell’accesso alla pensione dei mesi di sospensione lavorativa e il costo che comporterebbe solo di spese giudiziarie per l’INPS (4 milioni e 500 mila euro solo per il 1°grado di giudizio), pensavamo avrebbe indotto chi ci governa ad intervenire.

Invece non è stato così, gli emendamenti presentati non sono neppure stati messi ai voti e lo stesso è valso per un ordine del giorno presentato da parlamentari PD una volta che l’emendamento è stato cassato.

Ancora una volta questo Governo non sembra interessato, di la dalle parole, a sostenere i diritti dei lavoratori, anche se questi sono, come in questo caso, supportati dalla Corte di Giustizia Europea.

Alle decine di migliaia di lavoratrici degli appalti scolastici che per maturare 40 anni di contributi pensionistici ne devono lavorare 50 come minimo (71 se lavorano 15 ore la settimana), il Governo ha detto: voi “lavoratrici povere”, non solo non avete possibilità di maturare una pensione dignitosa visti i vostri salari, ma per andare in pensione dovrete lavorare più anni.

Oggi l’unica possibilità di vedersi riconosciuti i periodi di sospensione ai fini dell’accesso alla pensione che hanno le lavoratrici degli appalti scolastici è quello di aderire alle vertenze che la Filcams-CGIL sta promuovendo su tutto il territorio nazionale. Ma se la via vertenziale, seppur lunga, ci consente di affrontare e risolvere il problema del diritto all’accesso alla pensione, così non è per una altra delle discriminazioni che vivono le lavoratrici degli appalti scolastici.

Una recente ricerca della Fondazione Di Vittorio ha evidenziato che in Italia ci sono 4 milioni 355mila lavoratori part-time (quasi il 20% dei lavoratori italiani), e circa il 60% di questi sono part-time perché non hanno trovato lavori full time.

Buona parte dei lavoratori part-time, non solo i lavoratori degli appalti scolastici, pur lavorando tutto l’anno, non raggiungono i 10.440 euro annui, ovvero il minimale Inps per l’accredito di 52 settimane ai fini dell’accesso alla pensione. Lavoratori che, dopo aver vissuto una vita lavorativa con bassi redditi e senza alcuna possibilità di risparmio, avranno una pensione vicino alla sociale e dovranno lavorare più anni per potervi accedere. La CGIL e la Filcams, che rappresenta buona parte di questi lavoratori, non possono ignorare gli effetti che il minimale INPS ha sull’accesso alla pensione di questi milioni di lavoratori.


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