Prime note per il congresso di categoria e confederale - di Andrea Montagni

Alcune prime considerazioni mentre si avvia il percorso che ci porterà al XVIII Congresso della CGIL e al  XV Congresso  della  FILCAMS.

Viviamo un momento difficile. Le profonde trasformazioni che hanno investito il nostro paese, la riorganizzazione delle produzioni su scala internazionale, il peso crescente della produzione immateriale, il nuovo peso della distribuzione e dei servizi e infine la “rivoluzione” digitale, accompagnate da una legislazione di “sostegno” ultraliberista che ha trasformato la deregolazione del lavoro in deregolazione dei diritti ci consegna una classe lavoratrice incapace di riconoscersi in quanto tale, frammentata e divaricata per reddito, condizioni di lavoro, conoscenza dei processi produttivi. Una classe duale nella quale l’unica cosa in comune tra garantiti (lavoro a tempo indeterminato, salario e orario contrattuali, welfare contrattuale e aziendale) e non garantiti sta nella fragilità della condizione dei primi (il licenziamento come fine di tutto) e nella certezza di miseria dei secondi.
In questa realtà, è ancor più necessario, ed invece è andato smarrito, un sistema di valori comuni, un ideale di uguaglianza, solidarietà, socializzazione che motivi i militanti e che permei tutta l’organizzazione, anche in controtendenza rispetto alla società e agli stessi lavoratori.
Ci dobbiamo preparare ad una lunga fase di resistenza nella quale sarà difficile mantenere le coerenze di impostazione ideali e sempre necessario esercitarsi nella arte del compromesso, inteso non come mediazione, ma come capacità di individuare in una situazione di debolezza e di arretramento, i terreni migliori sui quali affrontare lo scontro.
Nel documento “Per una CGIL unita e plurale”, sottoscritto da oltre 600 dirigenti e quadri della CGIL e che è stato presentato nella Assemblea nazionale confederale del 28 febbraio 2018, abbiamo provato a delineare un quadro analitico centrando la riflessione sulla composizione di classe, la lotta tra le classi per contribuire a definire una linea generale che abbia un respiro e che non si limiti alla gestione dell’esistente. E’ il nostro contributo collettivo al dibattito di avvio del XVIII Congresso della CGIL per arrivare a definire un documento congressuale condiviso.
Quello che balza agli occhi è che sempre più cresce – nonostante le nostre resistenze – il peso della contrattazione di secondo livello, peraltro sempre largamente inesigibile per la maggioranza dei lavoratori, e diminuisce il peso del contratto collettivo nazionale di lavoro, la cui potestà salariale è messa in discussione e che tende a diventare una cornice più che nocciolo e polpa del sistema di tutele e di diritti contrattuali. Cresce il peso del welfare contrattuale e si allarga la sfera di quello aziendale. Il rischio che corriamo è che per la stragrande maggioranza dei lavoratori il CCNL cessi di essere un punto di riferimento, una certezza, un punto di partenza nel riconoscimento del valore del lavoro e della professionalità.
La contrattazione avviene ormai nella sostanza in modo difforme da come la immaginiamo e la descriviamo nei documenti: alla piattaforma rivendicativa sindacale, si contrappone una piattaforma rivendicativa padronale non scritta che rimette in discussione, articolo 8 della Legge Sacconi alla mano, la legislazione di tutela, chiedendo deroghe alle rigidità di legge su apprendistato, part time, contratti a termine, esternalizzazioni. che cerca di legare il salario aziendale a condizioni di variabilità legate alla produttività o al risultato di ogni singolo anno ed erogabile sotto forma di cosiddetto “welfare” aziendale.
Nella riunione nazionale di Lavoro Società FILCAMS CGIL del novembre 2017 abbiamo affrontato in modo disincantato la questione, partendo dalla consapevolezza che è vitale per il sindacato, per la sua sopravvivenza come organizzazione di massa, radicata nei luoghi di lavoro, accettare compromessi rispetto alle politiche rivendicative aziendali e contrattuali perché non possiamo chiedere al settore garantito di rinunciare a tutele in nome di una astratta eguaglianza delle condizioni, per poter usare risorse e mezzi, resi disponibili dalla affiliazione sindacale dei primi, per organizzare il settore sempre più vasto dei lavoratori senza diritti e tutele. Per questo condividiamo il valore strategico della “carta dei diritti” che parla a tutte e tutti in una logica estensiva e non perequativa…
Stiamo affrontando, anche con qualche divisione spesso sottotraccia tra noi, vertenze complicatissime a livello contrattuale di categoria e aziendali. E’ necessaria una bussola di orientamento. Ci sono momenti in cui, alla fine di una vertenza, si può scegliere solo tra la testimonianza e la resa: in quei casi è preferibile - per l’organizzazione - la soluzione che consente il permanere della struttura organizzata - che è un valore in sé. Questa soluzione non è facile da individuare e dipende da ogni singolo caso.
Quando in una vertenza sindacale si vince, tutto va bene. I risultati vanno “messi in cascina” utilizzando la forza acquisita per far crescere il consenso organizzato, le adesioni e la rappresentanza sindacale aziendale. Quando si perde comunque ci sarà un indebolimento e un discredito del sindacato a tutto vantaggio del padrone. Quando si “pareggia” paradossalmente le cose sono ancora più complicate perché saranno sempre possibili due letture che mettono l’accento su aspetti diversi per trarne conclusioni opposte. Nei pareggi e nelle sconfitte si misura la capacità nostra di tenuta. Dobbiamo considerare l’organizzazione in sé un bene da preservare e far vivere alle nostre delegate e delegati questo elemento come un valore fondativo del lavoro sindacale. A partire da questo, cercare soluzioni che tengano il più possibile insieme i lavoratori continuando a far vivere, o cercando di far vivere, una spinta alla unità come consapevolezza di una appartenenza
comune, altra da quella del padrone.


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