Filcams di Napoli, anche la questione morale è una priorità - di Pasquale Cesarano

Dieci anni fa, nel 2008, ha inizio una terribile crisi di sistema, che governi nazionali ed europei affrontano optando per politiche liberiste e di austerità. Dieci anni dopo, il fallimento di quella scelta ha peggiorato la situazione generale, aumentando le disuguaglianze.
Sono un lavoratore di Napoli, iscritto alla Filcams, da testimone diretto posso dire che la Campania sta pagando la crisi a carissimo prezzo, in termini di tenuta dell’occupazione, di sviluppo, di coesione sociale.

Gli ultimi dati del rapporto Svimez parlano di una lieve ripresa, ma siamo comunque molto lontani da quelli del 2008. Non bisogna essere John Maynard Keynes per capire che senza un intervento pubblico l’economia non può ripartire. Ma il governo sembra non capirlo. Anzi, con le sue scelte politiche opera una secessione di fatto: il lavoro al Nord, il reddito di cittadinanza al Sud.

Al momento, in Campania, il governo nazionale è stato in grado di mettere in campo unicamente il maxicondono su Ischia, dando vita ad una preoccupante alleanza Di Maio-Cesaro. Ai disoccupati promette il reddito di cittadinanza, ai cittadini più inceneritori per affrontare l’emergenza rifiuti. Ma dietro le emergenze, si sa, spesso e volentieri si nasconde il partito trasversale degli affari.

Alla mancanza di politiche sul lavoro, alla debolezza dell’economia ‘sana’ - che non è in grado di fare investimenti per ripartire - fa da contraltare la forza, il rinvigorimento di un’imprenditoria criminale che, approfittando della situazione, attira affaristi senza scrupoli con promesse di vantaggiose prospettive.

Tra le nostre priorità c’è quella di bonificare il Mezzogiorno dalle paludi della disperazione di cui le mafie si nutrono. Il tema della cultura della legalità - che abbiamo provato a rilanciare con quesiti referendari e all’interno del documento congressuale - deve essere uno dei pilastri della nostra discussione. La nostra categoria avverte continuamente la preoccupazione di un’imprenditoria malata, che allunga i suoi tentacoli su settori strategici dell’economia. Accade questo, ad esempio, nella Grande distribuzione organizzata, con i grandi gruppi che abbandonano la Campania, lasciando il posto ad imprenditori che negano i diritti a chi lavora. Accade questo, ad esempio, anche con sindacati di comodo che alimentano l’odioso fenomeno del dumping contrattuale, impoverendo lavoratori già deboli. Accade questo soprattutto negli appalti, con gare al ribasso che non possono creare buona e stabile occupazione. Accade questo nel turismo, in particolare modo nel lavoro stagionale, con addetti iperqualificati e ipersfruttati.

La sfida oggi è rilanciare il nostro Piano del Lavoro, la nostra Carta dei diritti universali del lavoro, il documento “Il lavoro è” in cui mi riconosco ed in cui si riconosce oltre il 97% della nostra base. Le cose che abbiamo scritto, le proposte che abbiamo fatto parlano di Europa, di Europa dei popoli, non dei mercati e della finanza. Le nostre proposte parlano di lotta alle mafie e di sostegno alla cultura della legalità. Le nostre proposte parlano di come si ricostruisce il lavoro, di reddito di garanzia e continuità per sostenere, per un tempo definito, i giovani in cerca di occupazione, e coprire le interruzioni dei rapporti di lavoro più frammentati. La Cgil, in questi anni difficilissimi, non rinuncia ad indicare una prospettiva, un orizzonte.

Il Mediterraneo può essere il centro di un nuovo protagonismo europeo. Il mare nostrum dovrebbe essere occasione di vita e di opportunità, e non un cimitero a cielo aperto per migranti. Nell’agosto del 2015 è stato potenziato il Canale di Suez. I transiti delle navi sono passati da 49 a 97 al giorno. Dovremmo investire per ammodernare e tecnologizzare il nostro sistema portuale. Mentre noi discutiamo, la cinese COSCO (China Ocean Shipping Company) ha acquistato il 67% della quota del porto greco del Pireo. Il Corriere del Mezzogiorno ha ospitato un’interessante riflessione dal titolo: “Turismo, il suicidio urbano”. Nell’articolo si parla di urbanicidio, per indicare le trasformazioni di città ormai saturate dal turismo di massa. A proposito di Napoli si dice chiaramente che farne “un brand significa favorire un’economia effimera, incapace di ridistribuire ricchezza e di avere una ricaduta occupazionale che non sia precaria se non del tutto sommersa”. Abbiamo provato a tracciare percorsi virtuosi di emancipazione del lavoro, in un territorio bello ma difficile come la Penisola Sorrentina. Un percorso che aveva visto la nascita, primo caso in Italia, di un Osservatorio sul lavoro precario e non regolare.

Una delle più grandi soddisfazioni che ho avuto, con la Filcams Cgil, è stata quella di aver sindacalizzato (con un gioco di squadra) stagionali, precari, addirittura lavoratori coi voucher, provando a restituire dignità e rappresentanza a chi ha perso i sui diritti nelle pieghe di tipologie di lavoro vergognose.

I dati del tesseramento confermano che è stato piantato un seme forte, che va coltivato e fatto germogliare. Per crescere il seme del cambiamento ha bisogno di una nostra riconoscibilità ideale. Negli anni ‘60 e ‘70 il corpo sociale di riferimento del sindacato erano gli operai delle catene di montaggio, prima ancora, nel secondo dopoguerra, con Giuseppe Di Vittorio, i braccianti agricoli. Oggi ci sono i precari, quelli che più di tutti pagano il conto salatissimo della crisi. Il sindacato deve essere in grado di contrastare e impedire la guerra fra poveri, fomentata da chi ne trae vantaggi. Per far germogliare il seme del cambiamento il sindacato deve avere una riconoscibilità morale, come grande questione politica e democratica. E allora, proviamo a parlare di etica nel sindacato, di deontologia sindacale del dirigente e militante che certamente viene regolamentata dallo Statuto, ma che non può essere ridotta solo a quello.


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