Gilet gialli e sindacati - di Jean-Pierre Page

[Jean-Pierre Page è responsabile de l’Union départementale CGT du Val de Marne, componente la commissione esecutiva confederale e responsabile dal 1991 al 2000 del Dipartimento internazionale della CGT francese. L’articolo è stato scritto appositamente per ‘Reds’]

Sono più di 12 settimane che i gilet gialli segnano con iniziative la vita politica e sociale francese. Macron, il suo governo, i politici, gli analisti commentano ogni giorno questo movimento senza precedenti. La maggior parte di loro è stata completamente presa alla sprovvista. Anche i sindacati. Non hanno visto arrivare l’ondata popolare che ha assunto la grandezza di uno tsunami sociale e politico e che non ha precedenti nella storia francese. D’ora in poi, tutti sono obbligati a considerare l’esistenza, i dibattiti e le iniziative dei gilet gialli.

Dovremmo considerare anche che il movimento può fare da olio combustibile e espandersi in molti altri paesi. Per il capitale e la borghesia è urgente trovare una soluzione a questa grave crisi, si devono muovere d’anticipo, perché i problemi si susseguono. In un lasso di tempo così breve è già divenuto fragile il potere del giovane banchiere che avevano scelto. In questo contesto, organismi sovranazionali come l’Unione europea vedono questo scurirsi un po’ di più un già futuro incerto.

L’unica strategia individuata dal movimento sindacale, anche dalla CGT, è quella di contribuire a federare e a far convergere le lotte nelle aziende, con quella dei gilet gialli.

Tuttavia, non basta ripetere che le rivendicazioni sono a portata di mano, quando la questione nel suo insieme è quali saranno le conseguenze pratiche. Ci sono voluti due mesi perché l’esecutivo della CGT finisse per accettare, sotto la pressione di molte delle sue organizzazioni, di fare appello a livello nazionale allo sciopero e alle manifestazioni, il 5 febbraio. Questa importante decisione ha il supporto dei gilet gialli, ma la domanda che sorge spontanea riguarda il seguito che verrà dato alla mobilitazione, nell’eventualità che possa evolvere in uno sciopero generalizzato. Considerando che negli ultimi mesi, da questo punto di vista, riscontriamo un fallimento.

Tutto ciò non si riferisce alla capacità dei sindacati di anticipare il cambiamento. Non dovremmo infatti mettere in discussione la capacità dei sindacati di tener conto del fatto che in pochi anni siamo passati da una società di poveri senza lavoro a una società con, in aggiunta, i poveri che un lavoro ce l’hanno (la Francia ha più di 11 milioni di persone in cerca di lavoro o con un impiego precario). Nello stesso tempo, 40 miliardari dispongono di 265 miliardi di euro, ossia la ricchezza complessiva del 40% più povero. Non è un caso che il movimento dei gilet gialli coincida con l’accusa e la detenzione, in Giappone per l’evasione fiscale di 15,6 milioni di euro all’anno, riferiti ai salari Renault-Nissan, di Carlos Ghosn.

La contraddizione capitale/lavoro è quindi fortemente posta!
Il potere d’acquisto è diventato una priorità vitale per milioni di persone e le loro famiglie. Questa rivendicazione si accompagna ad un’idea di democrazia che implichi il coinvolgimento di ognuno a tutti i livelli, nonché il riconoscimento e l’uso di diritti, senza privilegi di alcun tipo.

In un tale contesto, i cavilli di alcuni leader sindacali sui presunti tentativi di recupero di influenza dell’estrema destra appaiono ridicoli. Possiamo selezionare i lavoratori, chiedendo che per partecipare agli scioperi e alle mobilitazioni mostrino un “lasciapassare” conforme alle necessità del “partenariato sociale”?

E’ il momento per il sindacalismo di riflettere su se stesso, sulle sue carenze, i suoi ritardi, sul suo approccio ai problemi nella loro interezza. Infine, bisogna sbarazzarsi di questo spirito di compiacimento e condiscendenza, che mina la relazione tra sindacati e lavoratori, tanto che è stata una tassa sui carburanti il pretesto che ha provocato una diffusa rabbia, rappresentando la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso del tanto malcontento accumulato.

Non averlo capito non può essere senza conseguenze per i sindacati. Come si può essere sorpresi della portata di questa crisi di fiducia di un movimento che è stato costruito fuori dell’intervento e del coinvolgimento sindacale? Questo è vero in Francia e altrove, come su tutta un’altra scala. Così la CES dimostra in queste circostanze la sua incapacità di cogliere ciò che è essenziale, probabilmente perché funziona come un semplice ingranaggio nelle istituzioni di Bruxelles.

Si parla molto della scarsa considerazione di Macron verso coloro che sono chiamati corpi intermedi. Che è un dato di fatto, ma l’istituzionalizzazione del sindacato, la sua burocratizzazione, la sua corporativizzazione non rappresentano anch’essi un problema? Come essere sorpresi se oggi molti salariati volgono le spalle, s’interrogano sulla credibilità, sull’utilità, sull’esistenza stessa dei loro rappresentanti e volgono lo sguardo altrove?

Il movimento dei gilet gialli è pieno di contraddizioni: è l’immagine della società con i suoi pregiudizi, le sue debolezze, i suoi errori e financo le sue idee reazionarie. Bisognerebbe dunque fingere di non vederlo? Assolutamente no!

Tanti gilet gialli sperimentano l’azione per la prima volta, la maggior parte di loro non aveva mai partecipato a uno sciopero, a una manifestazione. Affrontano una repressione di massa, mai vista da 60 anni. Il movimento sindacale ha la responsabilità di condividere la sua esperienza di lotta di classe con tutti coloro che scelgono di agire collettivamente. Per un gran numero di gilet gialli, anche se confusamente, quello che è in discussione è la natura di questa società diseguale, brutale, predatrice. Questa società è il capitalismo stesso.

Ciò rinvia alla doppia funzione che dovrebbe avere il sindacato, sia quando lotta per le rivendicazioni immediate, sia quando si batte per il cambiamento della società. Questa discussione dà ragione a chi nella CGT da lungo tempo avvertiva quanto sta accadendo, si mobilitava e chiamava la Confederazione sulla prospettiva di una “esplosione sociale” fuori da ogni intervento sindacale, tanto la disperazione era al culmine. La CGT paga oggi 25 ani di “ricollocazione” e depoliticizzazione.

L’insurrezione sociale cui stiamo assistendo ha la sua forza nella capacità di federare gli uomini e le donne. Tutto un popolo si è ribellato dal basso, svelando l’estendersi di una rottura sociale tra il popolo e i suoi rappresentanti; una rivolta contro una situazione intollerabile, che dalle classi più deboli si va estendendo alle classi medie, che stanno subendo una condizione di sempre maggiore impoverimento.


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