14 luglio 1889: nasce la Seconda Internazionale - di Maria Grazia Meriggi

Esattamente 130 anni fa, dopo un lungo e complesso lavoro di tessitura fra le disperse organizzazioni operaie europee, si tennero a Parigi due riunioni – una alla salle Lancry qualificata dalla presenza delle Trade Unions e a cui partecipò anche Costantino Lazzari per il Poi, l’altra alla salle Petrelle qualificata dalla presenza dei socialisti tedeschi – i cui progetti non erano così divergenti da non permettere la convocazione due anni dopo a Bruxelles di un congresso unitario, grazie anche all’impegno e all’autorevolezza di Engels.

La I Internazionale, nonostante le grandi ambizioni, era un reticolo di diverse esperienze associative e la durissima repressione della Comune – con il varo di leggi specifiche anti internazionaliste in Francia e le persecuzioni suscitate dalla “grande paura” in molti Paesi – indusse il gruppo dirigente marxista, insieme alla volontà di un distacco organizzativo dagli anarchici bakunisti, a spostarne la sede a New York. La fine “ufficiale” della I Internazionale fu il 1872 ma già nel ’72 convocare riunioni internazionali era passibile di scioglimenti e arresti… eppure con diverse misure prudenziali gli incontri politici e associativo-sindacali continuano fra il ’72 e l’’89.

La “nuova Internazionale” si voleva dunque porre in continuità con la I ma nasceva in una situazione in cui partiti politici di dimensione nazionale agivano già o erano in formazione, come i movimenti sindacali che proprio alla fine del secolo iniziarono almeno a discutere del passaggio da associazioni di mestiere a associazioni industriali.

I gruppi dirigenti di quella che chiamiamo II Internazionale – l’opera di Alessandro Schiavi ne è un esempio – suggerivano nell’organizzazione e nella formazione dei quadri di “specializzare” partiti, sindacati, mutue, cooperative ma molti aspetti del coordinamento del lavoro sindacale fece capo all’Internazionale1. Infatti una delle principali attività unificanti fu la convocazione, a partire dal 1890, di una giornata di lotta, sciopero, manifestazioni per le 8 ore di lavoro, che riprendeva l’obbiettivo lanciato negli Usa fino alla manifestazione repressa nel sangue a Chicago 1886.

Il congresso di Londra dopo discussioni complesse decide la separazione definitiva dagli anarchici che iniziano un percorso organizzativo autonomo: il discorso sul loro ruolo nel movimento sindacale è più complesso e ci torneremo altrove. I partiti aderenti alla II Internazionale assumono il marxismo e la lotta politica anche elettorale come orizzonte teorico e come pratica. Una presenza che – sul modello della Spd nel II Reich, ma in quel caso per ragioni di forza maggiore – non implicava la partecipazione a governi di coalizione con partiti “borghesi”. Ogni volta che questo accadde l’esperienza si concluse con drammatiche lacerazioni e sconfessioni.

I partiti socialisti o socialdemocratici vivevano intensi dibattiti interni – esemplare quello fra “revisionisti” e “ortodossi” riassumibili nei nomi di Bernstein e Rosa Luxemburg senza che ciò si concludesse in generale con espulsioni o tragedie come quelle che vedremo all’opera nel Komintern e ampie autonomie avevano anche i territori: il “socialismo municipale” in Inghilterra, Francia, Italia ne è un esempio. A partire dal 1900 e soprattutto dal 1906 con la segreteria di Camille Huysmans l’Imternazionale si dotò di uno strumento di coordinamento fra un congresso e l’altro, il Bureau socialiste international (Bsi) con sede a Bruxelles. Le copie di gran parte dell’archivio danneggiato dalle vicende della II Guerra mondiale sono conservate presso la Fondazione GianGiacomo Feltrinelli e permettono di cogliere la “vita quotidiana” dell’Internazionale come esperienza sociale. Vi scrivono uomini di stato, giornalisti simpatizzanti, gruppi di lavoratori in sciopero, singoli lavoratori socialisti…

Nella II Internazionale ci sono senz’altro partiti più prestigiosi di altri: certamente quello tedesco ma anche i partiti dei paesi dell’Europa del Nord e scandinavi. Ma non esiste un partito guida né evidentemente uno “stato operaio” in grado di condizionarne le scelte. Non si tratta nemmeno di una organizzazione “eurocentrica”: vi sono rappresentati i socialisti russi (menscevichi, bolscevichi, dopo la scissione, Bund), i socialisti degli Usa e dell’America latina e iniziano a partecipare militanti dei paesi colonizzati.

I congressi dell’Internazionale dovettero affrontare tutte le grandi e piccole questioni che emergevano nella svolta del secolo: dal rapporto con la cooperazione e il mutualismo, allo sciopero generale, alla definizione complessa e controversa di imperialismo, alle questioni coloniali a quelle delle nazionalità soprattutto nell’impero austroungarico, alle migrazioni e ai rapporti fra lavoratori migranti e autoctoni. Non dimentichiamo che l’esperienza “internazionalista” più diretta dei lavoratori (allora come oggi) era proprio la migrazione, fra xenofobia reattiva e costruzione complessa di fraternità nei luoghi di lavoro.

Nei Paesi dove esistevano diversi partiti socialisti – la maggior parte – il Bsi cercava con successi alterni di spingere alla fondazione di un solo partito: il nome del partito socialista francese fino al II dopoguerra (Sfio, Section française de l’Internationale ouvrière) lo indica chiaramente, ma ad esempio in Inghilterra la fondazione all’inizio del Novecento del Labour Party seguì un diverso percorso…
Da quanto fin qui detto credo emerga che l’Internazionale non deve essere assolutamente ridotta alle vicende di cui fu protagonista di fronte alla Grande guerra. La ricostruzione del passaggio dal congresso di Basilea – con l’impegno all’opposizione attiva alle minacce di guerra – al voto di moltissimi gruppi parlamentari alle spese di guerra richiederebbe un lungo intervento. Basti ricordare però due aspetti. Innanzitutto l’ondata di “patriottismo” o “sciovinismo” di molte manifestazioni popolari di quelle settimane, presto “raffreddate” dall’esperienza delle trincee. Poi che opposizioni, ripensamenti, ruolo dei partiti dei paesi neutrali o contrari alle “unions sacrées” come quello italiano rimettono in moto discussioni e incontri che si concretizzano già nel 1915 a Zimmerwald.

D’altra parte centralità della nazione e/o nazionalismo dopo avere lacerato la II Internazionale li ritroviamo come tema addirittura tragico nel Komintern. Quando il progetto iniziale di essere il partito unico della rivoluzione mondiale si infrange davanti alle sconfitte, il Komintern adotta in molte occasioni come scelta politica generale l’interesse dello “stato operaio” a detrimento dei rapporti con le realtà sociali dei partiti comunisti, fino al patto Molotov/Ribbentrop…

Insomma, il rinnovato interesse storiografico per la rete politica e sociale che chiamiamo II Internazionale è anche dimostrazione della vitalità di una storia e di una proposta plurale e unitaria ai mondi del lavoro.


1 In questi anni iniziano a riunirsi segretariati unitari soprattutto per iniziativa dei potenti sindacati tedeschi: ricordiamo soprattutto il congresso tenutosi a Christiania nel settembre 1907 ma l’internazionalismo sindacale decolla davvero dopo la Grande guerra.


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