Le prospettive della lotta in Francia - di Jean-Pierre Page

 Lo stato dell’arte e la nuova fase della mobilitazione

E' in corso un braccio di ferro su una questione che ha a che vedere con una scelta di società. Non è un caso che Macron abbia fatto della controriforma del sistema previdenziale “la madre di tutte le battaglie”. La grande maggioranza dei francesi lo ha compreso bene. Se la determinazione dei lavoratori in lotta è esemplare, quella del povoir, del padronato, della UE e dei loro alleati non è da meno. E’ uno scontro di classe di grande spessore che richiede in risposta una strategia adeguata: mobilitazioni improvvise, azioni di disturbo, iniziative spettacolari, scioperi senza limiti di breve o lunga durata, manifestazioni di strada. La guerra lampo voluta da Macron e dal suo Primo ministro, per ora, rappresenta una sconfitta. E se ne sono accorti tutti.

E’ dunque un conflitto il cui esito dipende dalla capacità di uno dei due avversari di resistere, preservando al massimo le proprie forze. Bisogna dar peso alla solidarietà economica e politica, è decisiva! Per vincere, bisogna sapere bene che cosa si abbia di fronte, quanto conoscere se stessi. Occorre lucidità, capacità di giocare di anticipo, flessibilità in ogni circostanza. Bisogna dunque arrivare a bloccare la produzione se si vogliono bloccare i profitti. E’ elementare, ma è così!

Ridurre un movimento collettivo allo scontro tra un settore e l’avversario di classe può rivelarsi pericoloso, poiché si rischia di “spremere” le forze in campo troppo in fretta, benché esse siano coraggiose e pronte alla lotta. Non si tratta di incoraggiare la delega ad altri per decidere, ma ciò che serve è l’impegno cosciente di ognuno. Il metodo buono non è quello delle battaglie in ordine sparso con dei leader illuminati. Per essere efficaci occorre una strategia, sapere dove si va e in che modo. Non c’è bisogno di un’avanguardia illuminata che marcia chilometri avanti a tutti.

Mettere in atto azioni diverse che devono convergere in maniera coerente è una necessità per creare le condizioni di un movimento unitario verso lo sciopero generale. Ciò richiede una volontà politica da parte dei dirigenti e un grande spirito d’iniziativa. Occorre combinare le azioni improvvise, le mobilitazioni di categoria e confederali.

E’ sconfortante vedere sindacati, come anche la CGT, reagire condannando le iniziative pacifiche di denuncia della CFDT o, ancora, le interruzioni di corrente da parte degli elettrici (sono interruzioni selettive, ndt). Sono azioni legittime. Sono il risultato della collera, dell’esasperazione e noi dovremmo stare sempre dalla parte della lotta.

Penso che un gran numero di lavoratori comprende sempre di più il bisogno assoluto di estendere il movimento. Bisogna dunque esser contenti di vedere nuovi settori professionali prender posto nella lotta e con modalità che corrispondono alle loro decisioni e capacità. Non tutti i dirigenti sindacali sono mobilitati quanto occorrerebbe, ci sono delle defaillance. Occorre dunque convincere ed essere convincenti, per vincere le esitazioni o le incomprensioni, i timori. Per usare il linguaggio militare, devi sapere quante divisioni stai usando e, soprattutto, in quale stato si trovano.

E’ una buona cosa che delle forze politiche prendano parte alla mobilitazione. Non è in contrasto con il rispetto della indipendenza dei sindacati. In più nessuno ignora che un ostacolo contro cui si sbatte è rappresentato dalla mancanza di uno sbocco politico, allo stato attuale dei fatti. Grazie a questa lotta di grande ampiezza, penso che esistano condizioni più favorevoli per far progredire le coscienze. E’ necessario agire verso un vero progetto di rottura con il capitalismo mondializzato e la mercatizzazione sfrenata verso cui è proiettato. Quella è la causa e non basta affrontarne le conseguenze: il male va attaccato alla radice. Sennò al massimo si ritarderà la sconfitta, ma alla fine ci serviranno lo stesso piatto con un diverso nome, se necessario. Ecco perché serve un programma chiaro e non un ritocco della facciata, come invece è accaduto in tutti questi anni con i governi di destra e di quelli cosiddetti di sinistra.

In conclusione. Siamo in una situazione inedita, che mette in discussione certe vecchie certezze.

E’ chiaro che il pouvoir si inchina alle esigenze di Bruxelles e più in generale a quelle del Capitale. Intende andare sino in fondo, pure ricorrendo a mezzi sporchi. E’ quello che ha già fatto con una violenza inaudita usando una cieca repressione poliziesca. Può arrivare ben oltre. Quello che accade in Cile, Bolivia, Equador, solo per citare l’America latina, dimostra che un potere respinto dalla maggioranza del popolo può per la sua stessa natura scegliere una vera fascistizzazione. Questo rischio è reale; l’uso delle armi diverrebbe allora agli occhi del potere una necessità per spaventare il movimento popolare, per farlo tacere. Sono già entrati in una logica di criminalizzazione dell’azione sindacale. Questo non ha precedenti. Non dobbiamo farci alcuna illusione e bisogna tenere conto di tutto ciò, ma non per questo mettersi sulla difensiva o aspettare il fatto compiuto. Non credo comunque accadrà, quale che sia l’esito della lotta che ci attende ancora: il movimento popolare sa accumulare le esperienze e ricavarne le lezioni che serviranno per proseguire l’azione. Perché la lotta dovrà continuare, ed è un fatto che nessuno potrà ignorare.


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