Pd alle stelle - di Frida Nacinovich

Malinconico destino quello del Movimento Cinque stelle. Quasi fossero un re Mida dalla politica, ogni volta che trovano un accordo con una forza politica concorrente, quest’ultima ne trae vantaggio. All’epoca del celebre ‘contratto’ con la Lega di Matteo Salvini, nel giro di pochi mesi il Carroccio si impennò, quasi fosse una moto da enduro, fino a raddoppiare in percentuale i consensi alle europee del 2019. Ora che il governo Conte bis ha sancito l’accordo di programma con il Pd e Leu, è il partitone tricolore a ritrovare un senso - come direbbe Pierluigi Bersani - certificato dal robusto 34% alle elezioni regionali in Emilia Romagna. Proprio lì, dove il conducator Matteo Renzi era scivolato rovinosamente cinque anni prima, dopo aver attaccato a testa bassa la Cgil, con il risultato di allontanare dalle urne gran parte degli elettori emilianoromagnoli.

Adesso nello scacchiere politico i problemi non li ha il Pd, ma il Movimento Cinque stelle, che davanti a sé ha un congresso - loro parlano di ‘stati generali’ - in cui dovranno essere finalmente fatte alcune analisi. In primis quella su un movimento antisistema che molto ha raccolto, arando il fertile campo della scontentezza degli italiani sullo stato delle cose. Ma che una volta arrivato al potere, cioè al governo - con una forza parlamentare di tutto rispetto (33%) - deve dimostrare di saper dare delle risposte ai tanti e alle tante che, specialmente nel sempre più depresso Meridione, si sono affidati al cosiddetto partito post ideologico. E può anche andar bene, in teoria, che per risolvere i molti problemi del paese ci sia bisogno di un approccio pragmatico, né di destra né di sinistra. Però le scelte prima o poi si devono fare, e se non hai il 51% devi mediare fra le tue idee e quelle delle forze politiche che in Parlamento si sono alleate con te.

Nell’attesa che la mitica piattaforma Rousseau ci offra qualche delucidazione sul sentire popolare degli attivisti pentastellati, il Pd di Nicola Zingaretti attende fiducioso. I maligni dicono che è sulla sponda del fiume, ad aspettare di raccogliere il voto dei grillini più progressisti, visto che quelli anarcosovranisti sono già finiti da un pezzo nelle reti della Lega. Con onestà intellettuale, va però detto che il segretario dem non ha pigiato l’acceleratore, rispettando il travaglio della forza alleata, e anzi lanciando segnali di distensione. Renzi, per dirne uno, avrebbe seguito la strada opposta, legato come era a quella vocazione maggioritaria tanto cara al suo amico Walter Veltroni. Ma il Pd, i cui i nuovi dirigenti dimostrano di saper fare politica, sa bene quanto sia importante la tenuta del governo Conte bis e degli equilibri parlamentari per arginare la trimurti Salvini-Meloni-Berlusconi, che nel paese resta forte. Anche se, l’avreste mai detto, la sconfitta in Emilia Romagna e la vittoria della berlusconiana Jole Santelli in Calabria hanno dato il via ad una franca discussione in vista dei prossimi appuntamenti regionali.

A fine maggio infatti si vota in Veneto, Liguria, Toscana, Marche, Puglia e Campania. Specialmente in queste ultime due regioni, le due forze di minoranza della trimurti non hanno alcuna intenzione di mettere in discussione gli accordi già presi. Quindi Giorgia Meloni non intende rinunciare alla candidatura di Raffaele Fitto, apprezzato anche dal Cavaliere. E in Campania il governatore uscente Stefano Caldoro è considerato da Silvio Berlusconi un punto fermo. L’accoppiata Fitto-Caldoro vuol dire che la Lega, al sud, deve cedere il passo agli alleati. Con tanti saluti all’uomo solo al comando della destra italiana che, a dir la verità, dall’8 agosto scorso, dalle serate ballerine del Papeete di Milano Marittima, non ne ha più azzeccata una. Ora Giancarlo Giorgetti rimpiange che il tentativo di spallata al primo governo Conte non sia arrivato subito dopo le europee. Ma ammesso e non concesso lo sfaldamento del parlamento eletto appena l’anno prima, per certo la strategia del cosiddetto Capitano leghista di attaccare a testa bassa su ogni tipo di media conosciuto non ha dato i frutti sperati. E le ultime, preoccupanti e ridicole intemerate salviniane - come citofonare alle porte delle case di presunti malfattori seguito da un codazzo di telecamere - hanno sortito effetti opposti a quelli sperati. Vedi il voto nel popolare quartiere bolognese del Pilastro, dove il 40% degli elettori e delle elettrici hanno scelto convintamente il Pd, respingendo l’idea di una destra che solletica gli istinti più bassi degli italiani, dal razzismo al negazionismo. Per giunta, a differenza di quanto accade nel lombardo-veneto e nelle altre regioni del nord del paese, sotto il Po alla Lega mancano quei quadri amministrativi capaci di dare risposte alla vita quotidiana degli amministrati. Una carenza che si ripercuote, appunto, nelle dinamiche in corso tra Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia. A primavera, tra discussioni interne ai Cinque stelle e discussioni fra i tre azionisti della destra se ne vedranno delle belle. Una calda primavera, anticipazione di un’estate che non sarà però come quella indimenticabile del 2019. Succede una volta nella vita che nel belpaese ci sia una crisi di governo in agosto, e i risultati hanno confermato la vulgata popolare per cui non porta bene disturbare le italiane e gli italiani nelle due settimane che si concedono di ferie.


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