Attualità e prospettive: vigilanza e servizi fiduciari - di Lorenzo Baldo

L’emergenza sanitaria causata dalla pandemia di covid-19, sebbene stia mettendo a dura prova “l’universus” capitalistico, ha altresì gettato luce sul ruolo strategico che occupa tutta la filiera della sicurezza privata nel nostro paese.

Vigilanza e servizi fiduciari, che in Italia annoverano tra le loro fila più di 70.000 addetti, sono state ritenute, seppur per quanto riguarda i servizi fiduciari con vari intoppi burocratici, attività essenziali per il Dpcm del 23 marzo 2020, e quindi sottoposte all’onere di prestare la propria attività lavorativa al servizio del Paese durante tutto il periodo di chiusura “totale”. Esposti al rischio di contagio, i lavoratori della sicurezza hanno dovuto pagare, in maggioranza, anche lo scotto della mancanza di DPI previsti per legge, come denunciato dalle numerose Rsa/Rsu e dagli Rls.

Parliamo di un settore poliedrico ed estremamente complesso che soffre di una grave forma di sindrome bipolare, tutta funzionale al fabbisogno e agli interessi delle associazioni datoriali, con il beneplacito delle istituzioni.

Se da un lato questo comparto è osannato e considerato, a pieni titoli, un’autorità complementare a quella delle forze dell’ordine e quindi di vitale importanza per la sicurezza pubblica (dal 2008 le Guardie Giurate ai sensi dell’articolo 138 del TULPS sono considerate “incaricati di pubblico servizio”), dall’altro rimane una delle aree più sottopagate e deregolamentate dell’intero impianto produttivo italiano.

Nonostante queste due figure (guardie giurate e servizi fiduciari) dovrebbero ricoprire, almeno contrattualmente, due ruoli ben distinti, in realtà i servizi fiduciari hanno oramai da tempo sostituito per molti aspetti, i loro colleghi armati. La figura dell’addetto fiduciario ha visto la luce l’8 aprile 2013 con un accordo tra le parti sociali, scalzando il vecchio CCNL “Portieri e Custodi”, che aveva, oltre che una paga più generosa, anche un welfare contrattuale degno di tal nome (permessi, malattie, assistenza sanitaria integrativa, reperibilità retribuita).

Questa guerra al ribasso è dovuta a molteplici aspetti che sono, sì di varia natura, ma che all’unisono si adoperano per il medesimo obiettivo: la svalorizzazione della forza lavoro. Gli esigui salari che i fiduciari ricevono in busta paga e che oscillano sulla soglia di povertà (per un lavoratore con livello F la paga è di 797,14 euro lorde, e la soglia di povertà, secondo i dati Istat, si attesta sui 647 euro), sono uno dei primi fattori che incoraggiano tale deriva. Un altro fattore che percuote questo settore, pur sempre correlato al primo, è quello dell’anemia normativa di cui soffre il CCNL, in particolare nella voce “welfare”. Buoni pasto, fondi di assistenza sanitaria sono solo un miraggio per la maggior parte dei lavoratori fiduciari, che tra le loro mani, hanno solo una tredicesima ridotta all’osso, e che non si vedono riconoscere molti dei diritti fondamentali, come la retribuzione della malattia e l’erogazione della quattordicesima mensilità. Inoltre, moltissime delle aziende hanno deciso di costituirsi come società cooperative, nelle quali tutti i lavoratori sono soci e dove tramite assemblee, si possono modificare ed eludere i vincoli del CCNL.

Per tutta questa serie di motivi e per altri di maggiore entità, le aule dei tribunali e dei Tar sono intasate oramai da tempo da voluminosi fascicoli di istruttorie e sentenze nate da denunce inoltrate sia da singoli lavoratori, in merito a denunce su abusi e illeciti di varia natura da parte delle rispettive aziende (l’interposizione fittizia e l’appalto illecito è uno dei mali sommersi che dominano la scena), sia da autorità come l’AGCM per attività anticoncorrenziali su gare di appalto, o direttamente dalla polizia giudiziaria e GIP per reati di bancarotta fraudolenta e riciclaggio di denaro.

Quali sono le prospettive per questo comparto rimasto orfano del proprio contratto, scaduto nel lontano dicembre 2015?

Lo scenario che si sta prefigurando non è dei migliori, visto che i negoziati tra le parti vanno avanti da diversi anni non trovando però una sintesi che possa garantire un risultato soddisfacente per i lavoratori. I padroni vogliono far girare indietro la ruota della storia e delle conquiste sociali, vogliono riportarci a ritroso di decenni e non vogliono indietreggiare di un solo passo nelle loro pretese, in nome del profitto. Le proposte che le associazioni datoriali hanno presentato per l’ultimo rinnovo sono tutte a discapito dei lavoratori. Propongono di ricorrere al lavoro a chiamata anche stagionale usufruendo degli escamotage giuridici previsti dal Jobs act; vogliono allargare la maglia della flessibilità oraria con un innalzamento dell’orario di lavoro a 45 ore per i servizi di piantonamento, diminuire le tutele sui cambi di appalto ed infine eliminare la malattia anche per gli addetti alla vigilanza armata. Al contrario, un silenzio assordante avvolge il tema degli aumenti salariali, essenziali come linfa vitale per un settore vittima di uno scellerato dumping contrattuale e soggetto al proliferare del sindacalismo giallo, fautore dei molteplici contratti pirata che affliggono l’intera categoria.

Come è ben chiaro, se si vuole essere all’altezza della sfida che ci troviamo innanzi, bisogna adoperarsi per costruire un fronte comune tra tutti i lavoratori del comparto, facendo leva sui delegati territoriali per veicolare una coscienza collettiva e trasformare il senso di malcontento, comune tra i lavoratori, in forza organizzativa e rivendicativa.


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