PNRR, a chi andranno le risorse? - di Federico Antonelli

“Non è sufficiente avere a disposizione risorse ingenti per poter costruire un paese migliore: è necessario vedere come queste risorse vengono destinate, a chi queste risorse vengono offerte e con quali obiettivi queste risorse vengono spese”

[Il 28 maggio 2021 si è svolta in modalità videoconferenza la riunione nazionale del coordinamento della sinistra sindacale in FILCAMS-CGIL. Alla riunione ha partecipato anche il referente nazionale di Lavoro società confederale, Giacinto Botti. Pubblichiamo in queste due pagine la relazione introduttiva del compagno Federico Antonelli, coordinatore nazionale in FILCAMS-CGIL.]

Non è possibile iniziare questa nostra riunione senza riflettere sulle terribili immagini dei bambini morti e lasciati cadavere sulle spiagge libiche. La retorica antimigratoria, che si nutre del mantra “non è possibile lasciare l’Italia sola ad affrontare il fenomeno migratorio” di fronte a queste foto fa la faccia contrita, afferma che il suo obiettivo è quello di impedire tragedie come queste, ma poi decide che è bene fare gli accordi con il governo libico per fermare gli sbarchi, è giusto dare i soldi alla marina del paese nordafricano per fermare le barche di esseri umani in fuga dalla povertà, dalla guerra e da condizioni di vita che noi nemmeno possiamo immaginare. Questa è la stessa destra che ritiene che chi opera in mare per dare soccorso a esseri umani sia colpevole quanto i trafficanti, questa è la stessa destra che agita da sempre lo spettro dell’immigrazione per distrarre le persone da ciò che ne mina realmente i diritti e la propria condizione di lavoro e di vita.

Queste immagini sono un monito alle nostre coscienze che non possono girarsi dall’altra parte, noi complici, forse inconsapevoli ma non per questo meno colpevoli, di un muro invisibile, ma spesso, che vorrebbe difendere il nostro modello di vita, confinando la povertà la dove non la vediamo e lo sfruttamento in angoli del mondo, a volte molto vicini a noi, che non vogliamo vedere. Questi angoli ci sono vicini perché dobbiamo sempre riflettere che l’immigrato irregolare è funzionale ai processi di sfruttamento di cui noi beneficiamo: perché un prodotto agricolo che pago poche decine di centesimi al chilo non si paga da solo se non sulla base dello sfruttamento del lavoro, migrante senza voce e senza diritti.

Lo sfruttamento contri cui in Colombia da oramai due anni si registra un forte conflitto sociale in cui il sindacato CUT gioca un ruolo fondamentale, nel guidare le proteste e gli scioperi a cui partecipano i lavoratori e i cittadini colombiani. Le repressioni del governo sono pesantissime e violente, e sono passate sotto silenzio in questi mesi. Decine sono le morti causate dalla repressione poliziesca del governo. Ma anche la repressione sociale, l’eliminazione di sindacalisti ed oppositori devono essere denunciate, perché questa battaglia, che ricordiamoci si appoggia su una piattaforma di rivendicazioni focalizzata sui diritti per chi lavora, è vitale per la gente di Colombia, e simbolica per la classe lavoratrice ovunque.

Immagini forti che ci rimandano anche alla Palestina. I razzi su Israele non possono essere liquidati in maniera semplicistica come atti terroristici di Hamas. Un popolo vive imprigionato a Gaza; nei territori occupati, i coloni e i soldati israeliani cacciano i palestinesi appropriandosi delle terre su cui costruire le colonie. Il governo Netanyahu gioca la carta di Hamas per aumentare la politica repressiva e giustificare l’operato dei coloni, e forse risolvere qualche problema interno. Ho trovato interessante un’intervista in cui il regista palestinese Kamal Ajafari ha affermato che la radice del conflitto non è di ordine religioso, ma coloniale. Non so se questo dia maggiori speranze, come lui afferma, ma di sicuro permette di definire con semplice profondità ciò che accade dal 1948 in Israele: e non si definisca razzista, antiebraico, chi afferma tale cosa. L’ampio fronte politico italiano che senza nessun indugio, e senza tentare un’analisi profonda delle cose come sarebbe stato suo dovere, soprattutto dell’ala sinistra di questo fronte, farebbe bene a non nascondersi dietro questo concetto.

Ampio fronte politico che è il medesimo che appoggia, con chiara ed evidente convinzione, il governo Draghi. Il governo che dopo essere stato definito il governo dei migliori sta dimostrando che le nostre preoccupazioni erano assolutamente fondate e giustificate. Per noi nessuna “luna di miele” poteva essere offerta a scatola chiusa: anzi un sano scetticismo avrebbe forse influenzato il dibattito in maniera più incisiva.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è l’atto dal più profondo significato politico di questo governo: un documento su cui il presidente del consiglio Draghi ha giocato la propria investitura e la progettualità politica che lo ha accompagnato. Un patto nazionale mai dichiarato ma esplicitato in molte maniere, e nei fatti, che ha dimostrato come in questo nostro paese, nella nostra Europa, esista una sola idea precisa: la politica regola le dinamiche economiche affermando con i fatti la propria vocazione liberista e l’idea che solo offrendo le risorse alle imprese, stimolando il mercato e offrendo prospettive certe di profitto si possa ottenere il risultato di rilanciare l’economia mondiale, messa in crisi dopo la pandemia.

Credo di poter fare mio e rilanciare l’affermazione per cui non è sufficiente avere a disposizione risorse ingenti per poter costruire un paese migliore: è necessario vedere come queste risorse vengono destinate, a chi queste riscorse vengono offerte e con quali obiettivi queste risorse vengono spese. Insomma non basta offrire una colata di denaro sul paese per essere certi che questi soldi andranno nelle tasche dei lavoratori, con conseguente ripresa dei consumi grazie alla rinnovata capacità di spesa delle persone delle famiglie.

Le politiche energetiche, le risorse destinate ai servizi per le persone, al welfare, la capacità dello stato di essere imprenditore oltre che regolatore del mercato, il quadro di norme certe e diritti per chi lavora, la sicurezza, la salute, l’istruzione come elementi propri dell’organizzazione statale senza le bugie della sussidiarietà, dell’integrazione di pubblico e privato e della libertà di scelta dovrebbero essere oggi al centro dell’azione politica. Uno slogan di questi giorni recita: c’è bisogno di più stato. Solo così si può modificare un modello sociale ed economico che ha mostrato tutte le sue falle nel corso di questi anni.