Gli USA “boicottano” le olimpiadi invernali - di Nino Frosini

Santiago del Cile, Estadio Nacional De Chile, 21 novembre 1973: la partita del Cile contro la squadra dell’URSS è di quelle importanti, serve a qualificarsi per i mondiali del 1974 che si disputeranno nella Germania Ovest. Però quella partita non si giocherà mai perché la squadra sovietica non scenderà in campo, anteponendo alla possibile qualificazione la condanna, lo sdegno politico per il golpe di Pinochet e per l’assassinio del legittimo presidente cileno Salvador Allende, la prigionia del segretario comunista Luis Corvalán, l’uccisione e la tortura di decine di migliaia di patrioti. Molti dei quali erano stati internati due mesi prima proprio in quello stadio.

Scesero in campo, e da soli, esclusivamente quei calciatori fedeli al sanguinario servo degli Stati Uniti, riuscendo nell’impresa di segnare due gol nella porta deserta di un avversario che non c’era.

Un altro boicottaggio “celebre”, per protestare contro l’invasione dell’Afghanistan fu quello dei giochi olimpici di Mosca 1980 da parte degli USA e di altri 60 paesi (non l’Italia) quando gli americani decisero di scendere in guerra a fianco dei talebani. Quelle stesse “bestie” a cui oggi hanno lasciato in mano il paese dopo avergli fatto la guerra per una ventina d’anni, stavolta anche con il concorso italiano.

Ora gli Stati Uniti guidano una coalizione, a dir la verità neppur troppo coesa, per il boicottaggio dei giochi olimpici e paraolimpici invernali previsti gli uni per il prossimo febbraio e gli altri per marzo in Cina.

In ogni caso l’elemento che più ci colpisce in questa vicenda non è certo il boicottaggio in sé, come visto atto politico peraltro già ampiamente usato, piuttosto le sue motivazioni formali, tutte pretestuose.

La prima riguardava la tennista cinese Peng Shuai. La si diceva scomparsa in seguito alla sua denuncia di molestie sessuali da parte di un dirigente della federazione tennistica (in seguito destituito e incarcerato), ma poi la vicenda è stata ridimensionata, e soprattutto l’interessata, in occasioni pubbliche e private, ha smentito le voci della sua “scomparsa”.

Poi i motivi si sono - come dire… - articolati ed allora ecco di nuovo la questione degli Uiguri (nonostante la “comune” battaglia contro l’estremismo jihadista che vede infatti estremisti uiguri combattere a fianco dei quaedisti filoturchi e armati dall’Occidente in Siria), poi quella delle donne musulmane che sarebbero sterilizzate; successivamente son tornati d’attualità i campi di internamento e di lavoro. Poi, naturalmente, i diritti umani colà tanto offesi quanto da “noi” difesi.

Ovviamente le cosiddette prove son raccontate soltanto dai “nostri” media e ogni replica vien bandita. Ma tant’è.

Le motivazioni del boicottaggio sono riconducibili esclusivamente a questioni ideologiche da inquadrarsi nell’alveo di precisi interessi geopolitici in base ai quali la Cina Popolare viene vista e vissuta dagli USA, con o senza Trump, come il prossimo obiettivo della prossima guerra.

Tutto il resto son novelle raccontate male.

In questo senso ogni contributo volto a respingerne la bellicosa filosofia è da considerarsi un impegno di pace.


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