Turismo, quando il lavoro si chiama sfruttamento - di Maddalena Ruju

L’arrivo dell’estate è sicuramente il periodo in cui l’offerta di lavoro nel settore del turismo registra un incremento esponenziale.

L’offerta lavorativa, però, essendo strettamente connessa alla stagionalità, offre quasi esclusivamente assunzioni a termine, senza prospettiva di stabilizzazione e senza diritti contrattuali. Stabilizzazioni e diritti contrattuali impossibili da ottenere per una serie di ragioni che si intrecciano; prima fra tutte il modo di intendere le attività turistiche degli imprenditori, che spesso si trasforma in esigenza di massimo sfruttamento di ogni risorsa possibile, dall’ambiente al territorio, fino ad arrivare a fare cartello con i prezzi. Ma è sicuramente il lavoro che rappresenta la voce di costo sulla quale determinare i profitti; anche la mancanza di controllo e di orientamento da parte delle istituzioni, attente alla promozione del territorio ma non a creare le condizioni per un lavoro più stabile e garantito peggiora la situazione.

Da anni La FILCAMS si schiera in prima linea per combattere le irregolarità del lavoro in questo settore con molteplici iniziative. Con la campagna Il nostro turismo. Destinazione sud - che coinvolge la Sicilia, la Sardegna, la Puglia, la Calabria, la Basilicata, l’Abruzzo, il Molise e la Campania – la Categoria intende lanciare una riflessione ampia che coinvolga istituzioni, lavoratrici e lavoratori, nonché associazioni datoriali, sui problemi che questo settore vive, su come l’industria turistica può svilupparsi, senza produrre occupazione precaria, in nero e senza diritti, come troppo spesso accade.

La campagna Mettiamo il turismo sottosopra intende smascherare concretamente la ormai diffusa fake news che racconta di una crisi in termini di lavoratori stagionali, perché titolari di reddito di cittadinanza.

I vari Briatore o Borghese, solo per citare i soliti noti, ma più in generale diversi imprenditori del settore, omettono invece di raccontare che i dati forniti dall’Ispettorato del lavoro mostrano un quadro allarmante, che ha visto nel 2021 ben 7 imprese su 10 irregolari nella gestione dei rapporti di lavoro. Sarebbe opportuno che tali soggetti trascorressero una mattinata nei nostri uffici per ascoltare i racconti di chi, con in mano una valigia di sogni, si ritrova catapultato in un incubo senza fine.

Sono davvero numerose le storie che quotidianamente ci vengono raccontate, storie che dovrebbero fare riflettere, proprio come quella che Marco mi ha raccontato recentemente: ha 32 anni, fa il barman di professione, ha lavorato in diverse città europee, conosce perfettamente tre lingue e adora il suo lavoro. Ma nonostante i grandi riconoscimenti ottenuti in ambito professionale avverte la necessità di tornare a casa. Così, d’impulso, in una giornata di fine primavera, decide di fare le valigie e ritornare in Sardegna. Consapevole della propria esperienza lavorativa, si autoconvince che con l’imminente inizio della stagione troverà facilmente un impiego nella sua terra. Con determinazione invia il proprio curriculum in vari residence e locali. Tra le offerte che gli vengono proposte ne individua una in particolare: quella di un importante locale in una nota zona turistica del Sassarese. Dopo aver effettuato il colloquio, con esito positivo, preso dall’entusiasmo, accetta l’offerta.

Finalmente arriva il primo giorno di lavoro e quello che sembrava essere l’inizio di un sogno si trasforma in una grande sconfitta; il contratto che gli viene proposto, da sottoscrivere, è di 4 ore giornaliere, part time 50%. Marco dovrà lavorare però per 8 ore al giorno 7 giorni su 7; inizialmente le ore di straordinario non saranno pagate. Probabilmente, più avanti, il titolare del locale promette, potrà ricevere un’extra fuori busta. Questa è l’offerta: prendere o lasciare.

Guardandolo negli occhi, percepisco in lui delusione e amarezza. Suggerisco di non accettare; lui saluta e promette di rendermi partecipe della sua decisione.

Come scrivevo prima, storie come questa non sono rare. Nel periodo estivo la mia sede ospita tante ragazze e ragazzi (ma anche lavoratrici e lavoratori più anziani) che entrano delusi da un mondo del lavoro a cui non possono consegnare le proprie speranze. Fortunatamente c’è anche chi trova la forza di ribellarsi e dire no a questa moderna forma di sfruttamento.

Ascoltare tutti questi lavoratori consolida in me la certezza che sia necessario cambiare prospettiva. Mi chiedo: quando sono gli stessi soggetti istituzionali a ignorare completamente il tema del lavoro dalla loro prospettiva di azione… quando il turismo viene definito oro bianco delle nostre regioni ma non si è capaci di uscire dalla logica dello sfruttamento del territorio e del lavoro… quando gli effetti dei cicli stagionali e delle mode in ogni caso influenzano la storia delle diverse realtà… è ancora possibile considerare la centralità del turismo nei processi di sviluppo economico dei territori? Forse, come ha affermato qualche intervento sentito nel corso dei vari eventi, senza una progettualità completa delle iniziative economiche e sociali nelle nostre Regioni saremo sempre costretti a vivere il turismo come è oggi, un’attività effimera che crea ricchezza passeggera e che non consolida occupazione e professionalità. E che non offrirà ai ragazzi una prospettiva di lavoro alternativa alla fuga verso le grandi aree urbane del Paese.