Il futuro delle donne in CGIL? Costruiamolo adesso - di Maddalena Ruju

Il 7 aprile dell’anno passato, la CGIL Nazionale aveva concluso un’interessante attività seminariale sul ruolo della leadership femminile all’interno dell’Organizzazione. Il seminario, conclusosi alla presenza di Maurizio Landini, era stato deciso (segretaria responsabile: la compagna Ivana Galli), perché “ancora troppo poche [sono] le compagne che scelgono di lavorare a tempo pieno nella nostra organizzazione. Per favorirne l’accesso ai vertici, abbiamo messo a punto un progetto ‘ad hoc’ riservato a delegate e colleghe di apparato tecnico e dei servizi under 40”. Il titolo del seminario era: “Diventare leader: il futuro delle donne in Cgil”.

L’iniziativa ha avuto così tanto successo e un riscontro favorevole tra le compagne e dentro tutta la CGIL da essere replicata in una seconda edizione alla quale ho avuto l’opportunità di partecipare (il secondo seminario si è svolto tra aprile e ottobre del 2022).

Da quella attività seminariale è emerso un quadro allarmante: partendo dalle condizioni della donna nella società e nel mondo del lavoro, il tasso di occupazione è del 48,9% per le donne, contro il 67,4% degli uomini. Se poi si indagano i dati nel dettaglio, si scopre che circa la metà delle donne occupate ha un contratto part time, mentre nel caso degli uomini la percentuale scende al 26,6%. E’ evidente che il reddito da lavoro delle donne continua ad essere considerato accessorio e secondario, rispetto a quello maschile che costituisce ancora oggi l’entrata più consistente. Ma, paradossalmente, un mercato del lavoro che offre lavoro povero e con orari bassi, continua a penalizzare le donne quanto e più degli orari senza fine, dei turni, ecc.!

In una società che stenta a liberarsi da vecchi stereotipi, gli uomini continuano a guadagnare di più e le donne continuano a vivere sospese tra un lavoro scarsamente retribuito ed il lavoro di cura di figli e anziani non autosufficienti.

Proprio grazie al fatto che sulle donne viene scaricato il peso del lavoro di cura, gli uomini hanno più tempo da dedicare al lavoro ed alla carriera, con la conseguenza che aumenta sempre di più il gender pay gap, con differenze che sfiorano il 9% nei ruoli di manager, quadri e operai, per arrivare addirittura al 10% per gli impiegati.

Le organizzazioni collettive sono lo specchio della società e, da questo punto di vista, è evidente che anche la CGIL replica al proprio interno un modello culturale e tende a riprodurre la gerarchia sociale che ancora oggi impera nella società italiana. Come ha sottolineato recentemente Susanna Camusso, “la Cgil è maschilista come lo è qualsiasi luogo collettivo di massa, dove puoi cercare di usare alcuni anticorpi, ma rimane comunque uno specchio della società”. O, come più gentilmente ha detto Tania Scacchetti, “il sindacato non è immune al maschilismo”.

Il lavoro del sindacalista è ancora un lavoro prevalentemente maschile, con metodi, presenza, orari e linguaggi definiti dagli uomini, in cui le donne si fanno strada con fatica e sacrificio. Le difficoltà reali per le compagne a trovare agio nell’agire quotidiano attengono ad usi, linguaggio, tempi, spazi tarati al maschile, che spesso creano una ‘barriera’, alimentando solitudine, senso di inadeguatezza, stanchezza. Spesso le donne affrontano una sfida quotidiana su più fronti, di cui quello della vita dentro l’organizzazione è condizionato dalla vita familiare, di relazione, dalle attività di cura che ricadono sulle donne, anche sulle donne giovani, anche quando non siano mogli, compagne e/o madri.

Un primo passo è stato fatto dalla generazione precedente di sindacaliste e dalla CGIL con la norma antidiscriminatoria, ma soprattutto con la loro militanza al femminile in quanto donne, senza la quale oggi non avremmo avuto una Segretaria generale donna della CGIL e tante compagne in ruoli importanti.

L’obiettivo dell’attività seminariale è di favorire ed aumentare la presenza di dirigenti donne per avviare un reale cambiamento che coinvolga tutta l’organizzazione e di farlo favorendo nel contempo anche il rinnovamento generazionale.

Ma se non cambia la cultura dell’organizzazione, se non si innovano e cambiano un modello e una pratica che considerino la diversità di genere un valore - mentre oggi permane come un ostacolo alla affermazione delle donne - non si faranno ulteriori passi in avanti.

E’ necessario aprire una riflessione su questo tema anche all’interno della CGIL: un lavoro nel quale devono essere impegnati tutti e tutte, ognuno nel diverso ruolo che ricopre, con l’impegno collettivo di allargare le strettoie culturali che impediscono una effettiva parità tra i generi.

Al termine di questo Congresso potremo riflettere collettivamente e valutare quanti passi in avanti (o indietro) avremo fatto in questa direzione… e anche, qualora necessario, non rassegnandoci a qualche battuta d’arresto!