“Ce la faremo!”: l’orgoglio di una categoria che lotta per il futuro - di Emanuele Bongiorno

Piedi per terra nella realtà, in petto il cuore consapevole, il pugno levato in alto, in direzione di una possibilità, di una pavidità sorpassata per un futuro da rivendicare: è il 18 gennaio 2024, giorno dello sciopero nazionale unitario dei fonici, trascrittori, stenotipisti e data-entry forensi.

Delegazioni di lavoratrici e lavoratori, provenienti da ogni parte d’Italia, sono intervenute, a Roma, a piazza Cavour – in modo fortemente simbolico davanti alla Corte Suprema di Cassazione – durante lo sciopero nazionale contro la linea d’indeterminatezza del Ministero di Giustizia relativamente alle sorti del comparto per i tempi a venire.
I fonici, trascrittori, stenotipisti e data-entry sono lavoratori e lavoratrici che si occupano dell’accurata fonoregistrazione/trascrizione di tutti i processi in ambito penale, una mansione delicata da cui dipende la correttezza delle deposizioni nelle udienze e che richiede grande professionalità. Questi lavoratori sono stati vittime di un passato d’illegittimità contrattuali, assunti con i rapporti di lavoro più disparati in assenza di diritti e di tutele, sempre precari! È solo dal 2017 che questi operatori possono beneficiare dell’applicazione di un CCNL. Venne scelto il contratto Multiservizi per la regolamentazione del lavoro, questa tipologia contrattuale tipica degli appalti di servizi, dal momento che l’appalto regola la somministrazione del lavoro nei tribunali. Il contratto nazionale di riferimento, unitamente ad una contrattazione di secondo livello (2018), ha reso possibile una prima definizione normativa del settore, dai livelli d’inquadramento sino all’organizzazione delle prestazioni rese da questa particolare compagine professionale.

Negli anni, superati momenti complessi quali la crisi pandemica Covid-19 e la CIGS, una nuova gara d’appalto e l’eventualità di una differente aggiudicazione poi non occorsa, financo la paventata sostituzione del personale in seguito all’indizione di un concorso pubblico per figure che si paventava potessero essere assimilabili alle attualmente impiegate in appalto, ora è la cosiddetta Riforma Cartabia a fare da spauracchio.

Alla luce, infatti, del processo di digitalizzazione informatica della Giustizia e della fase di transizione tecnologica in essere, il personale è letteralmente terrorizzato dalla possibile estinzione di posti di lavoro e di figure professionali e che operano da più di trent’anni nel contesto giudiziario.

Sono l’assenza di riscontro – almeno al momento – di una programmaticità manifesta da parte del Ministero di Giustizia, nonché il carente confronto istituzionale ad avere fattivamente scosso le lavoratrici e i lavoratori – costretti questi a interrogarsi sulle evoluzioni del proprio lavoro, se questo continuerà com’è oggi, seppure con altra dotazione informatica, o se peggio, al loro posto, sarà incaricato personale statale delle medesime mansioni – ad avere obbligato Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltrasporti alla proclamazione dello sciopero, naturalmente solo dopo aver esperito tutte le procedure di raffreddamento del conflitto e nel rispetto delle norme di regolamentazione dello sciopero nei servizi.

In ambito di servizio pubblico essenziale, e in presenza della precettazione, un’astensione dal lavoro pari all’85% su territorio nazionale e, addirittura, del 100% in alcuni Tribunali, ha confermato le ragioni della mobilitazione: internalizzazione di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori, nessuno escluso; un tavolo permanente di contrattazione con il Ministero di Giustizia; garanzie sul mantenimento dei livelli occupazionali e salariali dell’appalto.

Riconoscimento della categoria, aspirazioni di stabilità e garanzia sociale, di vittoria sulla precarietà e sottrazione alle spietate logiche affaristiche del mondo degli appalti: questi i motivi che, a Roma e in tutta Italia hanno accompagnato quanti hanno affrontato la fatica del viaggio per convergere a Roma davanti al “Palazzaccio”, insieme all’orgoglio, al sentimento di appartenenza per una vita professionale tanto instancabilmente vissuta, quanto imperdonabilmente amata.

Occhi pieni di luce nella piazza romana del 18 gennaio, voci unanimi nelle parole d’ordine ritmate, lavoratrici e lavoratori uniti nell’azione sindacale e presenti quali testimoni di una vicenda primigenia, di un giuramento d’identità mai prima avvenuto, compagne e compagni distanti da casa, ma in spirito lì con le proprie famiglie e i territori e, con dentro ognuno, il grido “Ce la faremo!”, perché c’è una speranza che vuole diventare il Domani.