Infinite diversità in infinite combinazioni - di Marcella Conese

Vera Gheno e la rivoluzione del linguaggio per abbattere il normocentrismo

[Sul linguaggio sessuato eravamo intervenuti con un altro punto di vista con la riflessione di David Lognoli su “limiti ed eccessi del linguaggio inclusivo” in “reds”, n. 7 del luglio 2022, pag. 4, A.M.]

Nella prefazione del libro di Vera Gheno “Chiamami così”, Fabrizio Acanfora (scrittore e blogger conosciuto per la sua attività di divulgazione scientifica sullo spettro autistico, autore del saggio “La diversità è negli occhi di chi guarda”) sostiene che “la diversità non può essere vista semplicemente come una categoria, perché la varietà che essa esprime riflette lo stato naturale del mondo intero nel quale viviamo”.

Ci spiega che non dobbiamo dare mai nulla per scontato perché, se vogliamo veramente riconoscere “le” diversità, dobbiamo avere la mente aperta ad accogliere la variegata molteplicità del numero infinito di fattori variabili che intersechiamo nelle nostre vite e che non possono essere costretti dentro la strettoia di stereotipi precostituiti e considerati universali.

“Chiamami così” è la trascrizione di una conferenza, in cui Vera Gheno ha sviluppato interessanti riflessioni sulle diversità, sulla inclusività e sul bisogno di relativizzare tutti quei punti di vista granitici, che pesano sul nostro modo di pensare.

Viviamo in una società normocentrica e androcentrica, in cui tutto gira intorno allo stereotipo del maschio, bianco, magro, intelligente, eterosessuale, benestante: le città sono organizzate a sua misura, la medicina ha come riferimento il suo corpo, l’organizzazione sociale è scolpita sulla base di un modello di lavoro/tempo libero che è quella del maschio.

La realtà, invece, è fatta di svariate combinazioni a cui bisognerebbe dare valore senza marginalizzarle, liber* da quei sentimenti, prevalentemente negativi, con i quali reagiamo di fronte a ciò che non consideriamo “normale”, dallo stupore alla pietà o peggio alla paura.

Guardiamo alla condizione delle donne: al di là della retorica, la loro vita continua ad essere ancora segnata dalla scelta oppositiva tra lavoro o figli. La società patriarcale, che pure trae nutrimento dallo sfruttamento del lavoro non salariato delle donne, è ostile non solo alla maternità ma anche al benessere dei bambini e delle bambine.

Guardiamo alla vita delle persone disabili, segnata da una serie di impedimenti insormontabili (reali e non) che la rendono ancora più faticosa di quanto potrebbe essere.

Ci sentiamo democratici ed avanzati quando utilizziamo il sostantivo “inclusione”, trascurandone il vero significato, perché, se ci pensiamo bene, c’è uno squilibrio di potere tra una maggioranza che seleziona chi includere e una minoranza che viene inclusa.

Per questo, l’inclusione potrebbe essere il punto di partenza di un percorso che deve arrivare a quella che lo stesso Acanfora denomina “la convivenza delle differenze” e cioè io sono differente da te in quanto tu sei differente da me, in una relazione paritaria di reciproco riconoscimento.

Per arrivare a questo risultato, dovremmo iniziare a nominare le differenze, perché possano progressivamente trasformarsi in esperienza cognitiva ed entrare a far parte della “normalità” di ciascun* di noi.

Da questo punto di vista, c’è un cambiamento positivo in atto: i bambini e le bambine di oggi incrociano molte più diversità culturali, religiose, sessuali, etniche rispetto ai nostri tempi, tanto da trattarle con grande naturalezza, senza paraocchi e senza gli imbrigliamenti nei quali siamo costretti noi adulti.

Mentre leggevo testi di psicologia infantile per prepararmi a presentare la sessualità (affetto, rispetto, consenso, contraccezione) a mia figlia, la dodicenne mi comunicava con tranquillità di aver conosciuto la fidanzata di una sua amichetta.
La ragazzina mi ha insegnato che avere a che fare con le diversità significa aggiungerle alle nostre categorie mentali e trasformarle in normalità, in maniera automatica, senza pregiudizi, senza paure, usando le parole giuste senza infingimenti.


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