Anche la Francia si inchina alla Tav - di Riccardo Chiari

“Andremo fino in fondo a questo progetto perché sarebbe assurdo, e credo che tutti ne possano convenire, di scavare un tunnel e avere nel contempo vecchie linee ferroviarie che non permettono di aumentare il traffico di trasporto merci”. Le parole dette qualche giorno fa in una trasmissione televisiva dal ministro francese dei Trasporti, Clément Beaune, sembrano cancellare ogni incertezza sul destino della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione.

In parallelo, sulla Gazzetta ufficiale europea è stato pubblicato l’avviso di gara “per l’attrezzaggio ferroviario e tecnologico e per la manutenzione della sezione internazionale della nuova linea merci/passeggeri Torino-Lione”. A farlo sapere naturalmente Telt (Tunnel Euroalpin Lyon Turin), la società partecipata al 50% dallo Stato francese e al 50% dal Gruppo Fs incaricata dei lavori, pronta a segnalare che il bando ha un valore stimato di 2 miliardi e 930 milioni di euro e si configura, secondo il codice degli appalti pubblici francesi, come un `marché global de performance´, un appalto globale di performance, che combina la fase di manutenzione con la fase di progettazione e costruzione.

Insomma si va avanti, costi quel che costi. Anche se, nel marzo scorso, il Conseil d’orientation des infrastructures ha messo nero su bianco che servirà tempo ulteriore per completare la tratta francese, perché i costi sono altissimi e c’è bisogno di massicci finanziamenti per realizzare la grande, contestata, opera. In proposito Mario Virano, direttore generale di Telt, ha spiegato che i lavori “sono molto più complessi in Francia, ci sono molte gallerie da realizzare e sono partiti molto tardi. In Italia, invece, per la parte nazionale siamo partiti con il ‘fasaggio’ già nel 2012”.

Al tempo stesso, aggiunge Virano, “la Francia non può permettersi di non realizzare la sua parte nazionale della Torino-Lione, perché è legata ad accordi con l’Italia e l’Unione europea. Se non dovesse rispettarli subirebbe un danno”. A riprova, il ministro italiano dei Trasporti, Matteo Salvini, non appena aveva saputo che oltralpe si discuteva della Tav aveva ammonito: “Da Parigi ci aspettiamo chiarezza, serietà e rispetto degli accordi: l’Italia è stata ed è di parola, non possiamo accettare voltafaccia su un’opera importante non solo per i due Paesi ma per tutta Europa”.

Tirando le somme, la volontà politica dei governi italiano e francese, con la benedizione dell’Unione europea, continua a prevalere sui dubbi e le perplessità di chi osserva che forse il gioco della Tav Torino-Lione non vale la candela. Del resto sta accadendo lo stesso sul nodo fiorentino dall’alta velocità, dove alla resa dei conti, sia pure con un ritardo decennale per storie di malaffare e fallimenti di imprese, in estate partiranno i lavori per il tunnel sotterraneo che attraverserà il sottosuolo della città, con fermata nella nuova stazione sotterranea Belfiore-Macelli a un paio di chilometri dalla stazione centrale Santa Maria Novella. I costi? Secondo i (numerosi) critici del progetto sono lievitati a ben 2 miliardi e 735 milioni di euro. Ma anche in questo caso la volontà politica dei governanti pesa assi più di quella dei governati.


Dura la vita degli ecologisti francesi

Per capire quanto sia difficile la pur motivata opposizione alla realizzazione dell’alta velocità fra Torino e Lione, non sono sufficienti le cronache di casa nostra, con il movimento No Tav piemontese (e non solo) costantemente “attenzionato” da forze dell’ordine e magistratura. Oltralpe il controllo, e non di rado la repressione, nei confronti dei movimenti ecologisti è altrettanto pesante. E’ di poche settimane fa un’ondata di arresti e perquisizioni agli attivisti del movimento “Soulèvements de la Terre” (Rivolte della Terra). Perfino i servizi antiterrorismo sono stati mobilitati, unità specializzate che in genere non si occupano di mobilitazioni ecologiche ma di minacce islamiste, al limite del nazionalismo corso.

La colpa degli ecologisti? Quella di aver invaso in duecento, nel dicembre scorso, un cementificio Lafarge a Bouc-Bel-Air, sabotando gli impianti per danni, stimati dall’azienda, di quattro milioni di euro. Le cronache parlano di graffiti alle pareti, alcuni sacchi di cemento squarciati, un inceneritore danneggiato, dei cavi tagliati e delle macchine edili vandalizzate. Nessuna violenza fisica.

Accusare Lafarge-Holcim di essere uno dei maggiori inquinatori e produttori di CO2 in Francia, così come hanno fatto gli attivisti, è costata loro l’accusa di associazione a delinquere e degrado in banda organizzata. E per il fermo di polizia di una ventina di persone c’è stata una mobilitazione fuori dal comune delle forze dell’ordine. Effetto diretto, per molti media, delle richieste ecologiste di stop all’invio di armamenti in Ucraina e all’aumento delle spese militari. Lo slogan “Distruggere le armi che distruggono il pianeta” fa breccia in una opinione pubblica largamente ostile al governo per la (contro)riforma delle pensioni, ed anche per gli effetti fallimentari nel paese dell’attuale modello liberista di matrice anglo-americana.

ri.chi