Autonomia e rappresentanza politica - di Andrea Montagni

In queste elezioni, anche in quelle comunali, la rigidità delle nostre regole sulle candidature ha fatto sì che si accentuasse lo iato tra rappresentanza politica e militanti del movimento operaio. Chi tra i nostri componenti di AG di categoria o confederale si è candidato, qualunque sia stato l’esito della sua candidatura, è stato “condannato” ad un anno di sospensione degli organismi congressuali a qualsiasi livello!

Siamo convinti che il socialismo e la lotta di classe restano il nocciolo della nostra interpretazione delle dinamiche sociali: possiamo limitarci a sostenere le posizioni di autonomia e di indipendenza che condividiamo?

Sono 20 anni ormai che le esigenze della rappresentanza politica appaiono sempre più lontane dai bisogni delle persone o non sono comunque avvertite come sensibili rispetto ai problemi quotidiani. La protesta contro il ‘sistema’ raccoglie consensi anche tra i lavoratori, financo tra gli iscritti, fornendo importanti (e preoccupanti) indicazioni sul piano popolare. Lo scenario è quello del populismo diffuso, seppur con varie gradazioni. In questo scenario prima la Lega, poi i 5 stelle, ora la destra neofascista hanno inciso sull’elettorato popolare, quello che non si è spinto via via sulla strada dell’astensione.

La mancanza di partiti di riferimento è una difficoltà per chi voglia riaffermare che la classe lavoratrice si deve riorganizzare in un partito che si batta per la trasformazione sociale, che sia radicato nei luoghi di lavoro e nella società e che abbia col sindacato un rapporto fecondo come quello che ebbero, nel secolo passato, comunisti, socialisti unitari e socialisti di sinistra con la CGIL.

I quadri sindacali non dovrebbero essere indifferenti alla lotta per la ricostruzione di una sinistra politica internazionalista.


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