“Fermiamoli a casa loro”. La via della Fortezza Europa è chiusa - di Riccardo Chiari

Su quel barcone fatiscente spacciato per un peschereccio viaggiavano quasi 200 migranti. Uomini, donne e tanti bambini. Pachistani, afghani, siriani, anche iraniani, somali, palestinesi. “Tutti inviati dai loro parenti in missione per la vita, con i risparmi racimolati dopo anni di sacrifici”, scrive sul manifesto la cronista calabrese Rossana Caccavo. Ricordando agli smemorati, ai distratti e agli indifferenti che per milioni e milioni di persone prendere il mare è la sola possibilità di immaginarsi un futuro, fuggendo da guerre, carestie, persecuzioni e condizioni di vita insopportabili. Indegnità sulle quali si fonda il sistema politico, economico e sociale dell’Occidente capitalistico, secondo cui viviamo nel migliore dei mondi possibili, di fronte al quale non ci sono alternative.

Erano partiti dalla città turca di Smirne i migranti, lungo una rotta battuta fin dagli anni ‘90 del secolo scorso, quella che conduce sulle coste calabresi. Chi ha memoria storica degli approdi ricorda che tante volte il viaggio si era concluso con drammi e anche autentiche tragedie. Ma questa volta agli occhi dei soccorritori si è presentata una vera e propria ecatombe. Il sindaco di Cutro nel crotonese, Antonio Ceraso, racconta: “Li ho visti mentre li infilavano nelle sacche, nudi, perché il mare li aveva spogliati. Non scorderò mai più la fine del mondo che c’era su quella spiaggia”. Ricacciando indietro le lacrime, il sindaco prova anche a tirare le somme della insostenibile realtà di questi anni: “Noi calabresi siamo stati migranti come loro; facevamo anche noi i viaggi della speranza cercando fortuna via mare. Ma loro, oggi, fanno i viaggi della disperazione. Che speranze può avere chi parte con questo mare, con queste barche, in queste condizioni?”.

Eppure continuano a partire i migranti. Dalla Libia, divisa tra fazioni militari e di fatto ingovernabile, dove pure sono stati allestiti, con i soldi dell’Unione europea, autentici lager dove rinchiuderli, fra sopraffazioni e violenze che ricordano gli anni più bui del secolo scorso. Anche dalla Turchia del dittatore Erdogan, coperto di soldi dal vecchio continente perché trattenga nel paese, in campi profughi appena più vivibili di quelli libici, i milioni di uomini, donne e bambini in viaggio per sperare di avere qualche speranza di una vita diversa.

A tutte e tutti loro il messaggio dell’Europa è stato, ancora una volta, chiaro: qui non vi vogliamo, la via è chiusa. “Fermiamoli a casa loro”, ripetono i governanti dei vari paesi continentali. Quello italiano vede come ministro dell’interno Matteo Piantedosi, ex capo di gabinetto di Matteo Salvini nel governo gialloverde del 2018-19, quello della stretta alle navi delle Ong che salvavano migliaia di vite in mare. Cinque anni dopo, la strategia d’azione non è cambiata. “L’unica cosa che va affermata è che non devono partire”, dice a caldo. Per poi annunciare in Parlamento: “In relazione alla complessiva gestione del fenomeno migratorio, è mia intenzione definire interventi di natura normativa che affrontino in una visione di insieme le questioni di maggiori criticità come i rimpatri, il sistema di accoglienza, la protezione internazionale e i procedimenti per l’ingresso regolare negli Stati”.

Alle oltre cento vittime di questo ennesimo naufragio, avvenuto a soli cento metri dalla riva, dove solo chi ha avuto la forza di nuotare fino alla battigia ce l’ha fatta, è arrivato il cordoglio sincero dei crotonesi, ben diverso da quello “peloso” delle autorità. “Al ministro Piantedosi chiediamo rispetto per le vittime e per i cittadini crotonesi che a mani nude combattono il mostro dell’odio ed affermano il valore della solidarietà umana – dice sempre al manifesto l’attivista antirazzista Filippo Sestito - consegneremo al prefetto un documento in cui metteremo nero su bianco le nostre doglianze. A partire dai soccorsi mancati”. Perché nel novembre 2021, in un caso analogo e con condizioni meteo altrettanto difficili, lo sbarco e il soccorso furono impeccabili, e 80 migranti vennero tratti in salvo. Ma questa volta la nave della Guardia costiera non è salpata, dicono le prime indagini.

Non c’è misericordia nelle parole, e nelle opere, dei governanti: “Bloccare gli scafisti e fermare partenze che espongono a tragici rischi è possibile solo con una forte azione europea: la cooperazione internazionale deve essere patrimonio comune di tutti gli Stati membri, è il nostro approccio e si sta affermando a livello europeo”, detta ancora la linea il ministro Piantedosi. Un input subito raccolto dalla Ue, che con il portavoce della Commissione, Eric Mamer, dice senza imbarazzo: “Avvertiamo dei pericoli derivanti dai trafficanti di esseri umani, responsabili di mettere in pericolo vite di persone che si trovano in situazioni di grande precarietà e disagio: è questo che dobbiamo combattere”.

La via è chiusa.


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