Pd, il partito dei simpatizzanti sconfigge gli iscritti - di Frida Nacinovich

Diciamo la verità: pur se appassionata, coinvolgente, donna giovane e combattiva, Elly Schlein non era la favorita nella corsa alla segreteria del Pd. Un partito che certo è stato ridotto ai minimi termini dalla poco comprensibile scelta di Enrico Letta di rompere con il M5s alla vigilia delle elezioni politiche, perse ovviamente di brutto. Ma anche un partito di potere nel senso più ampio del termine, ben inserito nelle stanze dei bottoni economiche e istituzionali. Quasi sempre alla guida del paese negli ultimi dodici anni, con la sola eccezione dei 18 mesi del governo Conte-Di Maio-Salvini dopo il voto populista e antisistema del 4 marzo 2018. Fedele alla folle linea guerrafondaia dell’Europa e degli Usa in questa tragica svolta della storia contemporanea, e alle sempreverdi politiche di austerity incarnate prima da Mario Monti e poi da Mario Draghi.

Così non era certo un caso che i notabili del partitone tricolore, e gli amministratori locali ancora in sella come i governatori Giani, De Luca ed Emiliano, al pari dei sindaci Nardella e Merola, fossero schierati con Stefano Bonaccini. Un ex ultras renziano che da presidente emiliano-romagnolo si è schierato per l’autonomia differenziata, salvo puntualizzare di non essere d’accordo con la sua declinazione portata avanti dal governo di Giorgia Meloni.

Anche fra gli iscritti al Pd, peraltro sempre in minor numero, l’usato sicuro di Bonaccini era stato preferito, seppur di poco, alle proposte di cambiamento di Schlein, che pure era guardata dai tesserati dem con la simpatia riservata all’outsider che si candida in un momento particolarmente delicato per il partito.

Il voto di domenica dei gazebo, aperto anche ai simpatizzanti e, visto come sono andate le cose, ai non pochi delusi della deriva assunta dal partito dopo la non fallimentare esperienza del secondo governo giallorosso di Giuseppe Conte, ha ribaltato i pronostici. E la vittoria di Schlein, che ha raggiunto il 53,75% dei consensi con una partecipazione al voto di un milione e 100mila persone, ha consegnato alla vice di Bonaccini in Emilia Romagna - che ironia - le chiavi del Nazareno. Prima donna alla guida del Pd, e a ben vedere prima donna nella lunga storia sia del Pci-Pds-Ds, che del Ppi-Dc-Margherita.

I primi effetti delle primarie dem non si sono fatti attendere. Un democristiano di lungo corso come Giuseppe Fioroni ha già annunciato l’addio. E fra gli ex renziani di ferro si oscilla fra la “profonda delusione” di Andrea Marcucci, e le preoccupazioni dello storico delfino renziano, Dario Nardella. Pronto a mettere le mani avanti: “Le primarie e il congresso non devono essere una resa dei conti, è sbagliato che chi vince voglia imporre una linea unilaterale e chi perde minacci di andare via”.

Insomma, la discussione interna non si fermerà certo dopo questo voto, che sancisce fra l’altro la capacità di Dario Franceschini, unico maggiorente dem a sostenere Elly Schlein, di attraversare il fuoco senza scottarsi. Come una salamandra. Chi invece è già arrivato alle conclusioni è proprio Matteo Renzi, che dal suo punto di vista esulta per il risultato delle primarie: “La vittoria di Schlein cambia la politica italiana - afferma stentoreo il leader di Italia Viva - il Pd diventa un partito di sinistra-sinistra che compete direttamente con il M5s e assorbe i partitini di sinistra radicale” Traduzione: ora il centro sono io, non certo il Pd.

Dal canto loro, i padri e le madri nobili del partito, da Romano Prodi a Rosy Bindi, auspicano naturalmente che la nuova segretaria sappia tenere unito il partito, con una linea politica il più possibile condivisa. Ma, per forza di cose, tessendo anche delle alleanze. “Senza alleanze non si va da nessuna parte – avverte infatti il primo, - ma prima vengono i contenuti”. E la seconda guarda già avanti: “Mi aspetto che non vada a rimorchio degli altri, ma per farlo bisogna avere idee chiare, perché a un certo punto bisognerà fare qualche scelta”.

Si torna così, come nel gioco dell’oca, alla casella di partenza dell’immediato dopovoto politico. Quando la scommessa persa da Enrico Letta di fare a meno sia dei pentastallati che dell’accoppiata Renzi-Calenda – inconciliabili fra loro – metteva il Pd in un vicolo cieco di fronte alla compattezza della destra di Meloni, Salvini e Berlusconi. O meglio dei berlusconiani, perché l’anziano cavaliere viene ormai sconfessato anche dai suoi, quando cerca di smarcarsi da quel patto di ferro di cui pure è stato il demiurgo, esattamente trent’anni fa.

Ultima ma non certo per ultima vien la guerra. E qui Schlein sarà chiamata subito a una scelta. Perché i suoi sostenitori e sostenitrici si attendono parole chiare sulla necessità di una reale trattativa diplomatica che porti alla pace. E i sondaggi dicono che anche la maggioranza degli italiani è di questo avviso.


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