La campagna referendaria della CGIL su licenziamenti, precarietà e sicurezza sul lavoro - di Federico Antonelli

In queste settimane è partita la campagna referendaria della CGIL su licenziamenti, precarietà e sicurezza sul lavoro. E’ corretto affermare che la scelta dei referendum ha carattere generale e affronta i temi del lavoro con l’obiettivo di centrare il dibattito politico sulla qualità dell’occupazione in Italia.

Per dare forza alla campagna dovremo essere capaci di farla vivere, oltre che nelle piazze dove organizziamo i banchetti, anche nei luoghi di lavoro. Per farla percepire dalle lavoratrici e dai lavoratori è necessario quindi analizzare i quesiti anche in termini pratici, connettendo la scelta politica confederale alle condizioni materiali di lavoratrici e dei lavoratori; se non ne saremo capaci, rischiamo di perdere l’occasione e di giocare una partita perdente. Noi come aggregazione abbiamo discusso lo strumento referendario per diverse questioni: non certo per la bontà delle ragioni dei quesiti ma piuttosto per la forte perplessità sulla efficacia di questo percorso. Per renderlo vincente dobbiamo quindi calare nella realtà quotidiana i quesiti.

In particolare, è utile riaffermarne le ragioni rapportandole alle politiche categoriali e deiproblemi che nei singoli luoghi di lavoro si vivono.

Il primo quesito è quello sui licenziamenti illegittimi e il mancato reintegro per le lavoratrici e i lavoratori assunti dopo il 2015. Nei nostri settori sappiamo come alcune questioni sui licenziamenti assumo importanza determinante. Nei settori ad alto valore aggiunto dell’informatica e dei servizi all’impresa questa norma è particolarmente negativa. Durante le procedure di licenziamento, che queste imprese attivano, la discussione verte frequentemente sugli incentivi messi a disposizione di lavoratrici e lavoratori coinvolti: ll fatto che la normativa prevede questa differenziazione determina un abbattimento degli incentivi o una disparità molto evidente tra lavoratrici e lavoratori di alta e di minore anzianità aziendale. L’abolizione di questa norma permetterebbe, oltre ad estendere il sistema di tutele a tutti, anche di eliminare differenze odiose tra colleghi che devono subire il dramma del licenziamento.

Il secondo requisito tende a rendere più efficace la tutela contro i licenziamenti per lavoratrici e lavoratori assunti nelle imprese sotto i quindici dipendenti. Se il dato delle imprese in Italia è quello di imprese di ridotte dimensioni nei nostri settori questo fatto è maggiormente visibile. Pensiamo a settori quali il turismo o la ristorazione. Settori di servizi come studi professionali (medici, notai) le farmacie; la grande distribuzione organizzata spesso non è tale ma la sommatoria di piccoli imprenditori che acquistano insegna e servizi della grande catena ma poi, per ogni singolo negozio utilizzano una ragione sociale diversa. Questo obbliga spesso gli uffici vertenze a cercare di ottenere il difficile riconoscimento giuridico di gruppi di imprese. Riducendo i limiti delle tutele nelle imprese sotto i quindici dipendenti si consoliderebbe l’occupazione in queste imprese assicurando una maggior tutela in caso di licenziamento illegittimo.

Il terzo quesito è relativo alla liberalizzazione dei contratti a termine. Dal punto di vista della FILCAMS CGIL è evidente che il tema delle flessibilità è centrale. Ricordiamo alcuni nostri slogan a cominciare da “includere gli esclusi” che metteva in discussione la precarietà del lavoro. Se pensiamo all’ossessiva ricerca delle imprese con cui ci confrontiamo di allargare il campo di utilizzo dei contratti a termine comprendiamo l’importanza del quesito. Stagionalità, avvio di nuove strutture commerciali, territorialità e necessità particolari. Su queste causali, che rappresentano solo un esempio, si giocano spesso discussioni complicate che ci costringono ad accettare mediazioni non sempre positive perché strumentali e finalizzate ad ampliare eccessivamente le flessibilità. Turismo, logistica, imprese di servizio, farmacie, servizi alle imprese, ristorazione e naturalmente commercio tra i settori più coinvolti.

Infine, il referendum su sicurezza sul lavoro e appalti. Basterebbe pensare alla vicenda di Firenze, dei morti nel cantiere dell’Esselunga per comprendere l’importanza di questa norma. Esselunga, committente di quei lavori, non ha subito conseguenze per quel dramma. Ma chi dettava i tempi e le penali per la consegna di quei lavori. Escludere la responsabilità delle committenti nel garantire salute e sicurezza per noi, una categoria in cui gli appalti sono presenti ovunque, è un errore clamoroso. Pensiamo alle mense scolastiche, pensiamo ai magazzini della logistica leggera o pesante, pensiamo alle imprese di pulizia. Pensiamo al lavoro che ogni cambio di appalto determina: ridurre le ore di lavoro per ogni appalto subendo i costi determinati dalle committenti significa incidere sui ritmi di lavoro e sulle conseguenze che questi ritmi determinano.

E’ evidente con queste riflessioni parziali e sintetiche che molte sono le ragioni per la FILCAMS CGIL di essere protagonista di questa campagna referendaria. Le firme stanno arrivando. La vera sfida sarà portare le persone al voto: in un momento in cui la disaffezione allo strumento democratico del voto è massima questa sfida sarà la più complessa, ma anche quella che saremo obbligati a sostenere.


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