Ultras: non abbassiamo la guardia su questo bacino di proselitismo politico - di Gino Bruschi

Se temiamo il fascismo strisciante non perdiamo di vista quello esplicito

“Gli Ultras non perdono mai”. Sono tanti gli slogan che potrebbero identificare la cultura degli ultras; questo resta centrale perché identifica perfettamente il legame tra il movimento ultras, le curve dei nostri stadi e la loro passione per il calcio. Gli Ultras si sentono una cosa a parte, élite, movimento, gruppi organizzati detentori della cultura ultrà, un misto di regole di ingaggio violente, capacità organizzative collettive, spirito di gruppo e di comunità saldate attorno a due elementi primari: l’appartenenza a una fede calcistica, la squadra del cuore, e un forte legame con il proprio territorio.

Ragionare delle curve è materia delicata che dovrebbe essere affidata a sociologi esperti e di grande capacità di analisi, ma per chi come me, da ragazzo, ha frequentato quegli ambiti e vi è cresciuto è un esercizio indispensabile per capire cosa rimane della propria esperienza giovanile e dei sogni e delle emozioni di allora.

La prima cosa che bisogna sempre pensare quando si parla di ultras e dei ragazzi che frequentano le curve è che non si tratta di guardare mostri fuori dalla società. Il movimento ultras, e il ragionamento che voglio sviluppare vuole anche evidenziare la pericolosità dello sviluppo attuale, esprime capacità organizzative, obiettivi politici, creatività e coinvolgimento di alto livello. Basta frequentare uno stadio qualsiasi, che sia delle nostre metropoli dove giocano le grandi squadra che di provincia e delle serie inferiori, per comprendere come senza una curva organizzata quei luoghi di passione popolare si trasformino in teatri freddi e privi di calore. Questo fatto determina il grande potere che oggi i gruppi organizzati ultrà esprimono: sono oramai elemento essenziale dell’estetica del calcio e del legame con la squadra e i colori della maglia.

La seconda cosa che bisogna provare a pensare ragionando sul movimento ultrà è che non tutti i gruppi ultras sono uguali, ma tutti si nutrono alla stessa radice culturale: appartenenza, fedeltà, coesione del gruppo che non diventa mai branco, organizzazione gerarchica fortemente caratterizzata, machismo estremo sia nelle sue declinazioni aggressive che nelle dinamiche di potere. Questo determina atteggiamenti negativi che però diventano magnetici per moltissimi giovani.

Una terza riflessione è che il movimento ultras non è sempre stato lo stesso: ci sono state evoluzioni, scelte determinate dagli eventi che hanno maturato cambiamenti e prese di posizione di cui tutti i gruppi ultras sono stati protagonisti (nel 1995, dopo la morte a Genova di Vincenzo Spagnolo, i gruppi ultras di tutta Italia scrissero un documento intitolato “basta lame, basta infami” in cui si ribadiva la centralità dell’organizzazione ultras contrapposta ai gruppi dei cosiddetti “cani sciolti” che causavano violenze incontrollate che avevano messo in crisi tutto il sistema). La trasformazione del calcio con l’avvento delle pay tv e di una maggior commercializzazione del prodotto ha provocato una evoluzione del movimento che ha provato dapprima a resistere a leggi repressive e meccanismi penalizzanti (tessera del tifoso e schedatura dei frequentatori degli stadi) per poi trasformarsi nel modello attuale fatto di gruppi di enormi dimensioni, con potere economico notevole, catalizzatore delle energie all’interno degli stadi in forte sinergia con le società (che ipocritamente negano di avere relazioni con questi gruppi ma in realtà ne subiscono e ne utilizzano la presenza) e purtroppo sempre più frequentemente connesse con gruppi della criminalità organizzata (a titolo di esempio, la curva della Juventus è stata indagata per le pesanti infiltrazioni mafiose al suo interno) e dell’estrema destra.

E qua voglio inserire la mia riflessione su questo ultimo punto: appare chiaro che l’energia che i gruppi ultras sono in grado di trasmettere è notevole. Come dicevo, spirito di gruppo, coesione, forte identificazione territoriale, creatività artistica e protagonismo militante dei singoli che attraverso abbigliamento, cori e riti si sentono parte di un collettivo forte in cui realizzarsi sono gli ingredienti più evidenti. In questa energia attraente viene anche spesa la forte connotazione ideologica: non è un mistero che oggi il movimento ultrà in Italia si identifica perlopiù con gruppi, simboli e ideologie di estrema destra. Se qualcuno prova a vedere qualche video sui social sulla vita degli ultras, anche senza frequentare uno stadio, potrà toccare con mano questi aspetti. E nel legame fortissimo che connette questi gruppi giovanili, violenti e votati a ideologie razziste e machiste, non si può non riscontrare un temibile pericolo che tocca tutta l’Europa centrale e meridionale. Se l’Italia è la patria degli ultras oggi il modello è presente con forti connessioni in Germania, Francia, Olanda, Polonia, Spagna e con modalità simili nei Balcani ed in Grecia. Perfino in nord Africa si sta affermando un fortissimo movimento ultras.

Ritorno dunque all’inizio del mio articolo. Io non sono un sociologo ma un vecchio frequentatore delle curve che osserva con attenzione il presente del movimento: non abbassiamo la guardia su questo bacino di proselitismo politico che in questa Europa che guarda sempre più a destra non viene contrastato più nemmeno con le ipocrisie e gli errori repressivi di quindici anni fa. Per molti partiti istituzionali e di governo sono un bacino di consenso notevole, per molte forze iper-reazionarie sono un fronte di reclutamento fortissimo, per molti potentati criminali sono un luogo di affari indiscusso.

Non dimentichiamo che alcune delle milizie più violente della guerra nella ex Jugoslavia vennero ingaggiate tra i gruppi ultras di Serbia e Croazia. Non siamo a questo di certo, ma se temiamo il fascismo strisciante non perdiamo di vista quello esplicito che ne potrebbe rappresentare il braccio armato, fanatico e radicato nella società.


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