Quanto è grande il Partito democratico? Abbastanza da permettersi il lusso di partecipare alle primarie del centrosinistra (nemmeno tutto) con tre candidati di cui due in aperta contrapposizione. I sondaggi danno il partito tricolore in una forbice tra il 25 e il 30%. Il segretario Pierluigi Bersani e il sindaco di Firenze Matteo Renzi girano l’Italia, si affrontano in una sorta di sfida all’Ok Corrall. I riflettori sono puntati sui gazebo democratici, in tv si parla molto più di quelli che di disoccupati e cassintegrati. Poi però arriva il voto in Sicilia, il 53% degli elettori resta a casa, il Pd si ferma al 13%. Il democrat Rosario Crocetta vince le elezioni insieme all’Udc, ma ha solo trentotto consiglieri. Per governare ne servono quarantasei.
Nell’isola che rischiò di diventare nel secondo dopoguerra la cinquantatreesima stella della bandiera Usa, ora brillano le cinque stelle del movimento di Beppe Grillo. Primo partito in Sicilia, quindici consiglieri conquistati attraversando lo Stretto a nuoto, facendo una decina di comizi. Da non credere. Invece è tutto vero. Il neo-presidente Crocetta sfoglia la margherita: potranno aiutarlo i grillini, oppure pescherà tra i partiti delle coalizioni avversarie, come quella guidata da Gianfranco Miccichè, che già si dice “felice di dargli una mano per il bene della Sicilia”?
L’alleanza tra Pd e Udc nell’isola bella non è inedita: i due partiti hanno sostenuto l’ultimo governo Lombardo, insieme a Mpa, Fli e Api. Anche per questo molti pensano che lo scenario più probabile nel futuro sia quello di una “collaborazione” fra Crocetta e Micciché-Lombardo (il Pdl l’aveva capito subito, tanto da far circolare dei manifesti che definivano l’alleanza “CrocChé”).
La fotografia del voto siciliano, per quanto non ancora a fuoco, fa capire che, fra i due principali contendenti alle primarie, Matteo Renzi ben rappresenterebbe questa dinamica politica. Ma la linea dell’incontro “progressisti-moderati” è quella della segretaria Bersani. Anche se il segretario non manca mai di sottolineare l’importanza del contributo di Nichi Vendola. Con buona pace di Pierferdinando Casini. Quel che è certo è che le primarie del centrosinistra (neppure tutto) sono anche un anticipo di congresso del Pd. Un duello fra il rottamatore blairiano e il segretario socialdemocratico. Il resto è contorno.
Quanto alla sinistra, in Sicilia è andata male. Claudio Fava ha ritirato la sua candidatura alla presidenza qualche mese fa, perché aveva fatto il cambio di residenza da Roma a Isnello (in provincia di Palermo) con cinque giorni di ritardo rispetto al limite massimo per candidarsi e votare alle Regionali. Allora ha deciso di sostenere Giovanna Marano, sindacalista della Fiom, quando però era troppo tardi per cambiare nome e simbolo della lista regionale: per questo motivo per votare Giovanna Marano presidente bisognava barrare il simbolo “Claudio Fava presidente”, della lista “Claudio Fava presidente”. Non proprio semplicissimo. Detto questo, presentare due liste a sostegno di Marano – Idv per conto suo, Fds-Sel e Verdi unite – è stato un altro errore visto che c’era lo sbarramento al 5%. Ma il destino della sinistra è quello di dividersi, sempre e comunque.
La legnata più forte l’ha presa il Pdl. Dieci anni fa i berlusconiani avevano vinto sessantuno a zero in Sicilia, oggi sono scesi sotto il 13% del Pd. Una miseria di voti, racimolati nella terra di Marcello Dell’Utri, Renato Schifani e soprattutto di quell‘Angelino Alfano che qualcuno vorrebbe degno ed unico erede di Silvio Berlusconi. Ma il Cavaliere è il Pdl, il partito è suo. Dopo di lui il diluvio. Proveranno a reagire copiando il Pd. Iniziano infatti a prendere forma i contorni delle primarie del Pdl. In vista della consultazione, che il segretario Alfano ha anticipato essere convocata per il 16 dicembre, lo stato maggiore del partito si è riunito negli uffici di via dell’Umiltà. Le primarie, secondo quanto ha twittato dal vertice il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, saranno di partito e non di coalizione. Per essere valide le candidature, dovranno essere sostenute da un minimo di 10mila firme. In particolare, la decisione assunta dal tavolo delle regole è che ogni candidato debba ottenere almeno 2000 firme in ogni regione e le regioni devono essere cinque. Cinque, come le stelle del movimento di Beppe Grillo. Ora gli studiosi di flussi elettorali raccontano – con una velocità che lascia qualche sospetto – che l’ascesa del movimento cinque stelle è legata a filo doppio con il calo dell’elettorato di sinistra. Ma l’impressione – quasi tangibile – è che il voto siciliano, fra astensione e preferenze a cinque stelle, rappresenti una bocciatura bypartisan verso questa politica bypartisan. Viene da pensare che ammettere anni fa Beppe Grillo alle primarie del Pd – lui aveva chiesto di partecipare – avrebbe cambiato il corso della politica italiana.
Frida Nacinovich