Il 6 novembre si è svolto il secondo sciopero nazionale per i lavoratori del gruppo Fnac. Dalla “casa madre” francese nessuna notizia in merito al destino di Fnac Italia e dei 600 dipendenti distribuiti negli otto punti vendita (Roma, Napoli, Firenze, Torino, Milano, Verona e Genova, più una sede amministrativa ed una logistica) italiani della catena di libri e multimedia. È di pochi giorni fa la notizia di una conferenza telefonica con la dirigenza Fnac da parte delle organizzazioni sindacali alle quali non resta che segnalare l’ennesima fumata nera che mantiene tutti nell’incertezza più completa. L’unica cosa sicura è la decisione assunta dal consiglio di amministrazione di Ppr (Gruppo proprietario) che ha approvato il progetto di scissione e di collocamento in borsa della Fnac. Inizialmente, gli azionisti Fnac saranno gli stessi di Ppr successivamente, dopo la quotazione, la holding della famiglia Pinoult manterrà almeno per un anno la proprietà delle azioni del 40% del gruppo. Vengono così confermati gli obiettivi dell’azienda fissati l’anno scorso da Ppr con il piano “Fnac 2015” per consentire a PPR di concentrarsi sui suoi due rami principali, Luxury (tra cui Gucci e Bottega Veneta) e Sports & Lifestyle. Per l’Italia è confermata la decisione di vendita entro fine 2012.
Va detto che dura ormai da quasi un anno il calvario dei lavoratori Fnac. Risale infatti a gennaio 2012 la doccia fredda: ovvero il messaggio di Alexandre Bompard, amministratore delegato del gruppo Fnac, rivolto a tutti i collaboratori, che presenta un piano di riorganizzazione il quale prevede il taglio di 510 dipendenti, di cui 210 in Francia e 300 negli altri Paesi. Non si dispone di nessuna notizia certa: l’azienda parla di blocco delle assunzioni, uscite volontarie, riorganizzazione complessiva della struttura e razionalizzazione delle filiali estere. L’unico dato certo è quello riferito alla riduzione generale delle spese che dovrebbe portare un risparmio pari a 80 milioni di euro nel 2012.
La costante di tutta la vicenda è l’assoluta indeterminatezza della posizione di Fnac, come spiega Daria Banchieri della Filcams-Cgil nazionale: “L’azienda non ha mai fornito alcun tipo di informazioni su piani commerciali o strategie di gestione di tale situazione di emergenza”. Si arriva così al primo sciopero che si tiene nel mese di febbraio: è un successo, con l’adesione di più dell’80% del personale.
All’incontro di luglio l’azienda conferma di non avere nessuna novità in merito al futuro di Fnac in Italia, Paese in cui l’azienda risulta in perdita e per il quale non ci sono risorse da investire, e conferma la scadenza del 31 dicembre come limite massimo entro cui prendere la decisione definitiva; l’auspicio è di poter vendere la catena italiana.
Non resta che proclamare uno sciopero per il 5 ottobre con la richiesta di attivare anche
tavoli istituzionali” perché, come spiega Banchieri, “l’eventuale chiusura degli punti vendita è un problema sociale per il ruolo che questa azienda ha ricoperto negli anni nelle città”.
Allo sciopero di ottobre si è aggiunto quello del 6 novembre. La vertenza continua.
Il percorso di lotta, la solidarietà dei cittadini
Alla Fnac la sindacalizzazione è molto giovane e le adesioni al sindacato (è di gran lunga prevalente la Cgil) sono molto recenti ed in gran parte conseguenti al rischio-chiusura. Ciò non ha impedito che la vertenza dei lavoratori Fnac si sviluppasse con determinazione e capacità di coinvolgimento dei rispettivi territori.
Le modalità di lotta sono state articolate territorio per territorio e accumunate dallo slogan di convocazione dello sciopero: “Salviamo Fnac”. Trattandosi di una forza-lavoro giovane, impegnata nella vendita di strumenti culturali come libri, dvd, cd musicali, un elemento caratteristico delle forme di protesta è stata l’assunzione di forme di creatività con la capacità di coinvolgere, oltre ai livelli istituzionali locali, anche personaggi della cultura e dello spettacolo.
A questo si è aggiunta anche una grande capacità di utilizzo di strumenti informatici come forma di comunicazione e di raccordo fra le varie esperienze di lotta. Ovviamente il giorno clou delle forme di protesta è stato quello dello sciopero del 5 ottobre che ha coinvolto pressoché il 100% dei dipendenti. Poi è stata la volta del 6 novembre, sempre con alte percentuali di adesione.
Sono stati così organizzati presidi in corrispondenza dei negozi, ‘flash mob’ nelle piazze cittadine, sono state raccolte le firme dei clienti che hanno espresso la loro solidarietà ai lavoratori in sciopero, sono stati organizzati anche i “foto box”: per dimostrare il proprio appoggio alla causa, clienti e sostenitori delle ragioni dei lavoratori si sono fatti fotografare con il cartello “Salviamo Fnac”.
A Torino, i 120 dipendenti hanno incassato la solidarietà di numerosi artisti tra cui Subsonica, Statuto, Fratelli di Soledad, Africa United.
Al presidio di Verona, davanti al negozio e alla sede del Comune, è stato esposto lo slogan “se lavorare è un lusso”, rivolto al milionario francese Frangois-Henri Pinault, proprietario anche della catena Fnac.
I lavoratori lamentano, oltre al timore di perdere il posto di lavoro, un atteggiamento inaccettabile da parte dell’azienda che da un anno tace: “Viviamo una situazione psicologicamente molto difficile – spiega una delegata di Milano – eppure la Fnac si faceva vanto di aver istituito i Comitati Etici per il benessere dei lavoratori in azienda. Dove sono finiti oggi tutti questi buoni propositi?”.
Matteo Gaddi