di Riccardo Chiari
L’ultimo a chiudere è stato “Pubblico”, il quotidiano diretto da Luca Telese che aveva aperto i battenti a metà settembre, quindi rimasto in edicola solo per tre mesi e mezzo. Ma al di là del caso specifico di un “progetto editoriale” denunciato come inesistente dagli stessi redattori del giornale, l’emorragia di lettori della carta stampata è segnalata nero su bianco dell’ultimo rapporto 2012 del Censis, che ha annotato nero su bianco: “I quotidiani registrano un calo di lettori pari al 2,3%. Li leggeva il 67% degli italiani cinque anni fa, oggi sono diventati solo il 45,5%. Tra i giovani la disaffezione per la carta stampata è più grave: tra il 2011 e il 2012 i lettori di quotidiani di 14-29 anni sono diminuiti dal 35% al 33,6%”.
Aiutate dalla loro gratuità solo le testate online, dove si stanno dirigendo i flussi pubblicitari: sempre il Censis, lo storico istituto di ricerca diretto da Giuseppe De Rita, registra nel 2012 il 2,1% di contatti in più sull’online, unico segno positivo di un panorama sempre più desolato. Su questo fronte è però partito il conto alla rovescia verso il paywall, sistema di pagamento per ottenere le news online da tablet, computer e dispositivi mobili, al quale hanno già aderito i principali gruppi editoriali del paese (Mondadori, Espresso, Caltagirone, “Sole 24 Ore”, “Stampa”). Un passo obbligato, avvertono gli editori. Ma che si troverà di fronte l’oceano di siti web, locali e nazionali, che andranno avanti a proporsi gratuitamente ai loro potenziali lettori. Certo con minori forze, e con una attendibilità considerata, a ragione o a torto, inferiore. Anche se la possibilità di fare riprese tv, per riportare fedelmente sia le notizie che i commenti dei diretti interessati, è oggi patrimonio di un sempre maggior numero di imprese editoriali in rete.
Per la carta stampata la crisi viene da lontano. Già nel triennio 2006-08 la Federazione italiana editori di giornali evidenziava forti aumenti delle perdite e utili in calo. Da allora la valanga è stata inarrestabile: pubblicità in netto calo (tre miliardi di euro in meno dal 2007 ad oggi), età anagrafica dei lettori sempre più avanzata, concorrenza di internet, alti livelli di indebitamento e costi non flessibili sono solo alcune delle cause di una crisi strutturale, cui va aggiunta la peggiore recessione economica che si ricordi. Solo per fare un esempio, alla corazzata Rcs Mediagroup, di fronte a 800 milioni di debito e 427 di perdite nell’ultimo esercizio, si sta decidendo di tagliare l’intero settore dei periodici concentrandosi unicamente su “Corriere della Sera” e “Gazzetta dello Sport”, che nonostante il calo di vendite continuano a portare valore aggiunto. Il tutto comporterà comunque il taglio di un centinaio di giornalisti.
Sul fronte delle testate di sinistra un esempio illustre è quello dell’“Unità”, dove la ricapitalizzazione non è stata ancora ultimata, tanto da portare a dicembre uno sciopero dei giornalisti diretti e di quelli collaboratori del quotidiano fondato da Antonio Gramsci, che sconta anche la drastica riduzione dei contributi pubblici all’editoria cooperativa, non profit e di partito. Al “manifesto”, chiusa l’esperienza della cooperativa editoriale che lo aveva fatto nascere quaranta anni fa, è stato dato vita a una nuova cooperativa di giornalisti che ha affittato la testata dai commissari liquidatori, per poter continuare ad uscire in edicola. Anche in questo caso i rischi della nuova avventura editoriale non mancano. Mentre “Liberazione”, che lo scorso anno aveva interrotto le pubblicazioni cartacee, dal 7 gennaio ha ripreso le uscite quotidiane ma solamente online, e con solo due redattori a rotazione insieme a direttore e vicedirettore: “I costi della carta – avvertono il direttore Dino Greco e Paolo Ferrero di Rifondazione comunista che ne è l’editore - non sono sostenibili”. Anche “Liberazione online” passerà comunque a pagamento da febbraio, a costi ridotti visto l’abbonamento semestrale a 30 euro e quello annuale a 50 euro.
Sul sito della Federazione nazionale della stampa (www.fnsi.it), alla voce “Vertenze”, sono segnalate le crisi piccole e grandi del settore della carta stampata. Ma anche quello di radio e tv, pure loro coinvolte da sistematiche “ristrutturazioni” tese a diminuire il costo del lavoro per rientrare in budget sempre più ridotti. “C’è un mercato del lavoro giornalistico che continua a perdere posti di lavoro senza che si intraveda una inversione di tendenza”, avverte sempre più allarmata l’Associazione Stampa Romana.