Monti vuol dire fiducia? All’epoca la pubblicità della Galbani fu un successo, oggi i fan del professore giocano la stessa carta. Un cognome scritto a caratteri cubitali in campo bianco, con l’aggiunta di un ulteriore suggerimento all’elettore: “una scelta civica”. Un nome una garanzia. Ma per chi? Di sicuro per l’Europa di Angela Merkel, per il Vaticano, per Luca Cordero di Montezemolo. Gianfranco Fini e Pierferdinando Casini sorridono alla sorte benigna, per loro la discesa in campo del professore è stata una vera manna. Hanno cercato e alla fine trovato Godot, un’autentica impresa.
Certo i tempi sono cambiati. Una volta i simboli dei partiti che si presentavano alle elezioni erano di per sé un manifesto politico, un decalogo ideale di valori, una dichiarazione di intenti. Democrazia cristiana, Partito comunista, Partito socialista. A ben guardare, per andare a tempi più recenti, perfino il Campanile del microscopico partito di Clemente Mastella, stava lì a rappresentare un legame indissolubile con la chiesa cattolica apostolica romana.
Oggi basta un cognome. Di più: la scelta del partito del leader viene fatta proprio da Mario Monti, dal premier “tecnico” chiamato da Giorgio Napolitano a risollevare le sorti del paese infangate dagli eccessi di Silvio Berlusconi. Doveva essere una parentesi Monti, un primo ministro a tempo nell’attesa di una catartica pulizia della politica. E’ andata a finire che si presenta alle elezioni, variabile che il capo dello Stato non auspicava né aveva messo in conto. Anche perché la compagine montiana competerà con due delle principali forze politiche – il Pdl ma soprattutto il Pd – che hanno sostenuto in Parlamento le sue scelte non esattamente popolari.
Certo Monti non è il solo a mettere in mostra il suo cognome: sulle schede elettorali ci saranno anche Antonio Ingroia, Beppe Grillo, ci sono stati fino a ieri Nichi Vendola, Pierferdinando Casini, Gianfranco Fini, naturalmente Silvio Berlusconi che del partito personale è stato l’autentico inventore. Consulenti elettorali e spin doctor sono pronti a giurare che va bene così. Insieme ai cinguettii su twitter, alle foto postate su facebook, il nome nel simbolo è una carta vincente. L’elettore distratto saprà riconoscere ad occhio la lista da votare. Non ci sono più i simboli dei partiti, ci sono gli uomini che li guidano. Sole eccezioni, il Pd e la Lega, riconoscibili a prescindere dai nomi di Pierluigi Bersani e Roberto Maroni. I volti dei due segretari si notano sui manifesti sei per tre che hanno iniziato a coprire gli spazi pubblicitari delle città. Ma il nome sul simbolo no, onore al merito. La personalizzazione della politica sarà il segno distintivo delle elezioni politiche di febbraio 2013. Negli altri paesi europei non succede, lì i leader sono espressioni di forze politiche conosciute da ogni cittadino, da sostenitori e avversari.