Le date dell’assemblea nazionale di Lavoro Società (LS) coincidono con la fase più acuta della crisi istituzionale; va aggiunto che da qui a pochi mesi si aprirà la fase congressuale della Cgil che ci condurrà al congresso nel 2014. LS non si può certo presentare alla vigilia dell’appuntamento senza un pensiero collettivo. Dunque, in premessa, pongo all’attenzione un tema forte: ritengo si debba rompere con l’idea dell’incompatibilità tra azione sociale e politica. Se in politica non ci rappresenta più nessuno, se non c’è una politica che ci rappresenta, il problema va affrontato perché non si può difendere l’autonomia soltanto con aspetti di carattere formale. Lo affermo tenendo conto che il nostro profilo è quello di un’area che dialoga, propone, che non è subordinata e che non può vivere l’Organizzazione come una entità burocratica da tutelare. E proprio dall’esito elettorale si deve partire per riflettere a fondo sul perché non abbiamo compreso quanto stava avvenendo sul terreno politico-sociale.
Il contesto lo conosciamo bene: veniamo da quindici anni di stagnazione e di decremento del Pil: il primo obiettivo è ricostruire una politica industriale.
Noi di LS, da soli, nell’ultimo congresso sostenemmo il ruolo attivo dello Stato, e non solo di indirizzo. Accettammo una mediazione che non ci lasciò del tutto soddisfatti, tanto è vero che abbiamo mantenuto viva una differenziazione all’interno della maggioranza congressuale. Nell’ultima conferenza di programma e nel Piano per il lavoro, finalmente, è entrato con decisione il tema del ruolo dell’intervento pubblico in economia: non si esce dalla crisi peggiore degli ultimi 70 anni solo con interventi privati.
Vogliamo perciò continuare a mantenere le prerogative di un gruppo dirigente che sta a pieno titolo in Cgil e sa affrontare i percorsi sindacali esprimendo dissensi e consensi. Vogliamo aprire la discussione, innanzitutto dentro Lavoro Società per poi proporla a tutta l’organizzazione: l’assemblea nazionale di LS ha avviato questo percorso.