La Filcams, il lavoro e i diritti - di Paolo Repetto

Si è svolta a Milano l’assemblea nazionale dell’Area in categoria. Montagni: “Prepariamoci ad un clima di aggressioni politiche. Ripartiamo dalla questione contrattuale e dalla lotta alla precarietà”

 “Subiamo tutte le conseguenze della crisi – osserva Andrea Montagni, coordinatore nazionale di ‘Lavoro Società’, introducendo i lavori dell’assemblea nazionale dell’Area Filcams, che si è svolta il 15 marzo a Milano -: il perdurante declino produce disoccupazione, calo del reddito, peggioramento delle condizioni di lavoro”. Il 2013 sarà l’anno peggiore. “Il pensiero dominante diffonde la favola che il mercato sarebbe in grado di autoregolarsi da solo, senza aver bisogno dell’intervento dello Stato; noi sappiamo che non è vero...”.
Nella crisi, si rafforza la necessità di organizzarsi per difendersi; il sindacato, “pur con i suoi limiti e difetti, è la sola arma che abbiamo, nonostante la diffusa sensazione di una sua minore utilità”.
In Filcams, più che altrove, è di vitale importanza battersi per un’idea di lavoro che faccia rima con un reddito dignitoso per vivere. Là dove per ‘vivere’ si intende “la necessità di conciliare lavoro, cultura, tempo libero”. Ma se una parte (non inconsistente) della popolazione ha fatto propria la teoria della centralità del mercato “lo si deve a 30 anni di liberismo, con l’annessa denigrazione di tutto ciò che riguarda il mondo del lavoro. E la stragrande maggioranza delle forze politiche, supportate da un’opinione pubblica consistente, vive la Cgil come un ‘prodotto’ superato e vecchio, se non addirittura un nemico da stroncare: ecco perché dobbiamo prendere partito ed essere partigiani”. Per poterlo fare con cognizione di causa occorre però “riportare al centro dell’agenda l’iniziativa politica sui temi del lavoro, della crisi e delle sue soluzioni, dicendo la nostra su cosa un governo dovrebbe fare per affrontarla”.
Come può, dunque, contribuire la Filcams? “Con le idee e la sua esperienza ‘sul campo’, tanto più che rappresentiamo oggi la categoria più numerosa tra gli attivi,  iniziando col dire che una parte del terziario non è davvero tale, bensì è pienamente parte del processo produttivo, così come i  lavoratori dei servizi che lavorano nel welfare ne sono parte attiva, anche se (ad esempio) svolgono attività di pulimento. Il tema è complesso e invade il campo sia delle politiche di esternalizzazione – con le sue conseguenze in termini di diversificazione contrattuale in uno stesso luogo di lavoro – sia della denuncia della mancanza di tutela per i lavoratori ‘poveri’ e meno strutturati.”
Da qui la necessità, da parte della categoria che più è cresciuta negli ultimi anni stando a contatto con il lavoro di ‘frontiera’, “di offrire un contributo sull’attività sindacale prossima ventura a tutta la Cgil per affrontare le sfide che ci attendono”, prosegue Montagni, che subito dopo snocciola i temi con cui cimentarsi.
Innanzitutto le politiche contrattuali. “Veniamo da una stagione di contratti separati, la Fiom è stata esclusa dalla contrattazione nazionale e ora anche da quella del gruppo Fiat, pur essendo la categoria più rappresentativa. Anche noi, della Filcams, subiamo accordi separati. Finora abbiamo gestito il problema in modo differente, ma occorre anche ricordare che le nostre controparti non si sono chiuse come Federmeccanica, bensì hanno tenuto aperto il confronto. Partecipiamo dunque ai tavoli per i rinnovi aziendali ma è evidente che viviamo una situazione di rischio, al pari di altre categorie, scontando una debolezza strutturale”.
Nel merito sindacale occorre chiedersi quale peso destinare ai contratti nazionali e quale agli integrativi. La risposta di Montagni è netta: “La Filcams deve dire la sua rispetto al dibattito in confederazione ribadendo che l’elemento di unità è sempre rappresentato dal contratto nazionale, perché non si può pensare di spostare il peso della contrattazione sul secondo livello. Il problema è generale, ma è particolarmente acuto nei settori del terziario: dev’essere chiaro che nei nostri comparti quell’ipotetico, sciagurato scenario significherebbe l’istituzione di gabbie salariali, visto che nei settori dove siamo meno strutturati ci troveremmo ridotti alla mera contrattazione territoriale (come già accade ad esempio per i braccianti) mentre dove lo siamo di più prevarrebbe di fatto il modello Fiat (esasperando giocoforza una tendenza ad un proprio contratto aziendale). Ovviamente, se così si procedesse, il mercato cambierebbe le condizioni di lavoro a seconda del gruppo dove la categoria opera, con il salario e il welfare che si troverebbero legati al ‘momento’ vissuto da quell’azienda”.
La seconda questione riguarda le deroghe contrattuali. “Abbiamo ribadito – scandisce Montagni – la gerarchia tra i contratti, ovvero nazionale e secondo livello: a quest’ultimo spetta ciò che non rientra nel primo. Ma se ciò che viene rimandato al secondo riguarda la natura di lavoro e retribuzione, gli attribuiremmo una funzione esorbitante. Se facessimo questo errore, ci vorrebbero anni per recuperare; se dovessimo stabilire che in ogni gruppo si decidono aziendalmente gli orari o la quantità di part time o di apprendisti, ci ritroveremmo nel caos”. Al secondo livello, piuttosto, serve demandare quelle funzioni che consentono “di contrattare. Dopodiché, siccome non siamo degli sciocchi idealisti, sappiamo che ‘di là’ c’è un padrone con i suoi obiettivi e bisogna perciò realizzare un compromesso. Ciò che si demanda al secondo livello richiede discussione attenta, realistica, concreta: sennò gli accordi che si applicheranno saranno quelli firmati dagli altri”.
Terzo tema, la precarietà. “In confederazione – annota il coordinatore di LS in Filcams – è in corso un dibattito importante. Si può superare il lavoro dipendente? Più va avanti l’evoluzione economica, meno spazio c’è per il lavoro autonomo, intendendo per quest’ultimo un’attività caratterizzata dalla reale autonomia della prestazione da parte di possessori degli strumenti del lavoro e del tempo del lavoro stesso. Per questo è giusta la linea dell’estensione dei diritti e del contrasto dei rapporti di lavoro atipici riducendone le sfere di utilizzazione”.
“Noi siamo – conclude Montagni – ciò che rimane delle organizzazioni di massa del secolo scorso. Finché i lavoratori avranno una loro organizzazione autonoma avranno un luogo di resistenza organizzato e di prospettiva. Perciò saremo oggetto di aggressioni, da parte di chi avversa l’obiettivo di rimettere al centro dell’azione politica e sociale la centralità del lavoro e dei diritti”.


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