Intervista a Franco Martini, segretario generale Filcams-Cgil
Se partiamo dal presupposto che la democrazia e la rappresentatività sono i pilastri sui quali regge l’idea stessa e la natura del sindacato, l’accordo sulla rappresentanza raggiunto il 31 maggio appare come un passaggio fondamentale in tal senso. Qual è la tua opinione?
L’accordo è particolarmente significativo perché per la prima volta nel settore privato si conviene sulla necessità del voto delle lavoratrici e dei lavoratori per la validazione degli accordi. Si sono persi molti anni inutilmente con l’unico risultato di mettere a rischio la credibilità della rappresentanza confederale.
Per la prima volta si identificano in un’intesa tra le parti regole cogenti e di esigibilità degli accordi e si misura il peso reale e la rappresentatività di ogni sindacato, attraverso l’adesione associativa e il voto a una struttura elettiva di luogo di lavoro. L’accordo può avvicinare maggiormente i delegati di base ai non iscritti, da un lato, e alle strutture sindacali, dall’altro? Il tema non è irrilevante, in una fase in cui il sindacato riscuote critiche (populiste e non) non dissimili da quelle rivolte alla politica...
La decisione di aprire una nuova fase di investimento politico ed organizzativo sulle Rsu costituisce dal mio punto di vista uno degli aspetti più qualificanti dell’intesa. Una forte diffusione delle Rsu, infatti, costituisce il principale antidoto nei confronti di una politica unitaria eccessivamente tattica e centralistica. Questo non significa sminuire peso e ruolo delle organizzazioni sindacali, perché ritrovare la giusta sintonia con la condizione reale di vita e di lavoro e con i bisogni di partecipazione ai processi decisionali non può che aumentare il bisogno di sindacato, quindi, la sindacalizzazione nei luoghi di lavoro.
L’intesa potrebbe aprire un percorso verso la realizzazione di una futura legge sulla rappresentanza nel settore privato. Quanto sarebbe importante e che conseguenze positive potrebbe contenere in sé tale percorso nell’ottica dell’unificazione del mondo del lavoro pubblico e privato?
Sostengo da tempo che non vi sono alternative ad una legge sulla rappresentanza. Nel settore terziario importanti intese sindacali sulle regole sono state bruciate nel giro di brevi istanti. Una legge tutelerebbe tutti in ugual misura, senza contraddire la libertà di associazione sindacale. Fare sindacato resterebbe una scelta libera, ma imporrebbe tanto alle imprese, quanto ai lavoratori, di farlo nel rispetto di regole condivise. E consentirebbe di accendere un potente faro sulla crisi della rappresentanza datoriale, molto più diffusa e pericolosa di quella sindacale.
Quella del 31 maggio è un’intesa unitaria, che supera una fase lunga di accordi separati e può favorire confronti con il governo e con le forze politiche più incisivi. Sarà davvero così a tuo parere?
Sicuramente è un’intesa che può mettere in imbarazzo chi pensa di reiterare metodi e scelte del passato recente, dovendo spiegare al Paese perché il terziario resta un “porto franco”. Ma sono fiducioso, le confederazioni, assieme alle organizzazioni di categoria, hanno già avviato il tavolo con Confcommercio, per giungere ad un’intesa anche nel mondo del terziario, che ovviamente interpreti le peculiarità del settore.
Che significa, concretamente, aver vinto una prima battaglia confederale sull’effettiva rappresentatività in una categoria come la Filcams, in grande crescita seppur in un settore caratterizzato da grande frammentazione?
Oltre a rendere più difficile il metodo della divisione, che come sappiamo vede sempre l’impresa quale regista, significa progettare nuovo protagonismo della rappresentanza in un settore dove prevale la solitudine e la precarietà. E’ difficile, perché non sono riproponibili i modelli tradizionali del manifatturiero, ma è un’impresa affascinante e carica di prospettive nuove ed interessanti per l’intero mondo sindacale.
Alcune settimane dopo quell’intesa, la Consulta ha pronunciato un’importante sentenza sull’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori a proposito della presenza Fiom in Fiat: è stata definita come una significativa vittoria per tutti coloro che difendono le conquiste di civiltà giuridica e rivendicano i principi fondanti del diritto del lavoro. Qual è la tua opinione?
Un mattone importantissimo nell’edificio di una moderna civiltà del lavoro. Anche nel settore distributivo abbiamo conosciuto sentenze di ugual valore, anche se meno pubblicizzate. Credo che tanto l’accordo, quanto la sentenza, dovrebbero far capire che la linea della divisione sindacale non porta da nessuna parte. E questo non c’entra con la competizione fra le sigle, ma è cosa che ha a che fare con il futuro del Paese.