L’intesa del 31 maggio tra Cgil-Cisl-Uil e la Confindustria è stato definito “storica” con qualche ragione, in quanto, per la prima volta nel settore privato, un accordo sindacale relativo alla rappresentatività delle organizzazioni sindacali nelle aziende e nella contrattazione nazionale si muove in coerenza con l’articolo 39 della Costituzione.
Essendo un patto tra le parti sociali e non una legge dello Stato saranno necessari diversi adempimenti, anche questi di natura pattizia, affinché l’accordo vada a regime e venga effettivamente attuato. Inoltre, questa natura pattizia espone l’accordo ai rischi insiti nella eventuale rottura politica tra i soggetti contraenti il patto.
Comunque sia è necessario che questi adempimenti si realizzino al più presto e possa iniziare una nuova stagione di relazioni sindacali e di contrattazione, recuperando le gravissime rotture e gli accordi separati che hanno interessato il livello confederale come quello di categoria.
L’accordo che fa finalmente prevalere le regole della democrazia sulla “libera” contrattazione tra le parti, può essere la base per una legge che, in quanto tale, non sia subordinata alle convenienze delle parti ma che garantisca un quadro di certezze democratiche nella contrattazione i cui risultati, non dimentichiamolo, riguardano tutto l’universo dei lavoratori.
Un buon riferimento può essere l’impianto legislativo e contrattuale che dal 1998 regola le relazioni sindacali nella Pubblica Amministrazione, migliorata con l’importante riferimento alla consultazione certificata dei lavoratori prima della firma del contratto nazionale contenuta nell’accordo con Confindustria.
Nella Pubblica Amministrazione la materia è regolata da una la legge che fissa i principi generali, da un accordo confederale che tiene tiene conto della evoluzione delle Amministrazioni e dei suoi diversi comparti, e che regolamenta le elezioni garantendo completezza della normativa e trasparenza alle procedure.
Tra i principi generali inclusi nella legge della PA, due mi sembrano particolarmente degni di nota:
la Rsu nel pubblico impiego è la rappresentanza unitaria e universale dei lavoratori e non la rappresentanza di base dei sindacati. Alla elezione della Rsu i sindacati concorrono con proprie liste come i partiti concorrono alla elezione del Parlamento nazionale. In coerenza con ciò la nomina della Rsu avviene da parte del comitato elettorale che sovrintende le operazioni di voto e non del sindacato territoriale (“in ciascuna amministrazione, ente o struttura amministrativa di cui al comma 8, ad iniziativa anche disgiunta delle organizzazioni sindacali di cui al comma 2, viene altresì costituito, con le modalità di cui ai commi seguenti, un organismo di rappresentanza unitaria del personale mediante elezioni alle quali è garantita la partecipazione di tutti i lavoratori”). Per questa stessa ragione la Rsu, in quanto rappresentante generale dei lavoratori, decide a maggioranza semplice indipendentemente dalla adesione dei singoli a questo o quel sindacato e decide senza vincoli d’organizzazione. Inoltre, aspetto non secondario per avere la certezza delle elezioni, per la promozione di questo organismo è sufficiente una sola organizzazione sindacale, mentre nel protocollo con Confindustria è necessaria l’unità dei sindacati firmatari dell’accordo. Inoltre le Rsu nella PA decadono automaticamente ogni tre anni e le elezioni avvengono contemporaneamente in tutto il Paese.
L’Aran, oltre ad essere obbligata ad ammettere alle trattative tutte le organizzazioni rappresentative, non può sottoscrivere accordi senza aver prima verificato che le organizzazioni disponibili a firmare rappresentino almeno il 51% della rappresentatività dei sindacati (media fra iscritti e risultati nelle elezioni delle Rsu) (“L’Aran sottoscrive i contratti collettivi verificando previamente, sulla base della rappresentatività accertata per l’ammissione alle trattative ai sensi del comma 1, che le organizzazioni sindacali che aderiscono all’ipotesi di accordo rappresentino nel loro complesso almeno il 51 per cento come media tra dato associativo e dato elettorale nel comparto o nell’area contrattuale, o almeno il 60 per cento del dato elettorale nel medesimo ambito”). Nel protocollo del 31 maggio non ci sono vincoli analoghi per la Confindustria ma impegni a favorire le piattaforme e i contratti sottoscritti con sindacati che superino il 51% della rappresentatività. Confindustria potrebbe ancora sottoscrivere, in astratto, un accordo con una minoranza delle organizzazioni sindacali assumendo il rischio della non applicazione erga omnes sfidando i non sottoscrittori a ricorrere alla magistratura per evitare l’applicazione di quell’accordo ai loro iscritti. Eventualità remote, ma accadute nel recente passato. Nella PA, grazie alla legge che limita la discrezionalità dell’Aran, in fase di negoziazione e di sottoscrizione del contratto, questo non sarebbe possibile.
In ogni caso occorre valorizzare immediatamente l’intesa unitaria con una legislazione di sostegno. In caso contrario alla prossima divisione tra organizzazioni sindacali o al ritorno al governo del centrodestra ci ritroveremmo di nuovo daccapo.