Anche i vescovi italiani hanno fatto sentire la loro voce critica. Ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Eppure sono sotto gli occhi di tutti i non-risultati del decreto che ha “liberalizzato” le aperture domenicali degli esercizi commerciali: piccoli negozi vuoti, e grandi mall con l’aria condizionata frequentati da chi va in cerca di un po’ di refrigerio, ingannando il tempo davanti alle vetrine ma senza comprare niente o quasi.
Si obietterà che è colpa della crisi, visto il crollo degli acquisti in ogni settore. L’Istituto nazionale di statistica conferma anche questa chiave di lettura. Gli ultimi dati disponibili, riferibili ai mesi primaverili, certificano che la discesa delle vendite al dettaglio in tutto il paese assomiglia sempre più a un precipizio: in aprile la contrazione è stata dello 0,1% rispetto a marzo, e del 2,9% rispetto allo stesso mese del 2012. La decima flessione tendenziale consecutiva. L’altra faccia della stessa medaglia è illustrata dalla Filcams-Cgil, che dati alla mano osserva come le domeniche non aumentino i fatturati ma solo la fatica dei commessi. Mentre, per effetto collaterale, le spese crollano il lunedì, il martedì e il mercoledì, e si riducono perfino nella giornata “principe” del sabato. Il segno, evidente, che le liberalizzazioni dei giorni festivi portano a una diversa distribuzione degli acquisti e non a una crescita dei guadagni. In altre parole i pochi soldi degli italiani si spendono in sette giorni invece che in sei. Ma la somma complessiva non cambia.
Visto il contesto, sta diventando ogni giorno più popolare la battaglia civile avviata per abrogare il decreto “salva Italia” del governo pseudo tecnico di Mario Monti, nella parte che ha liberalizzato l’apertura al pubblico degli esercizi commerciali. Dopo il tentativo di ricorrere alla Consulta da parte di alcune Regioni, si è mossa anche la Confesercenti, che ha lanciato una raccolta di firme dal titolo “Liberaladomenica” per una legge di iniziativa popolare tesa a riportare fra le competenze regionali le normative sulle aperture delle attività commerciali. Una raccolta che ha avuto l’esplicita e significativa adesione della Cei, la Conferenza episcopale italiana che riunisce tutti i vescovi della penisola. Perché il settimo giorno anche qualcuno molto in alto, fin dall’alba dei tempi, si è riposato.
L’obiettivo finale è quello di garantire almeno otto giorni di chiusura annui di outlet e centri commerciali, nelle principali ricorrenze religiose e laiche. Così la Filcams Cgil chiede per l’ennesima volta, con forza, che la legge di Monti sia cancellata e si ritorni alla situazione di prima, quando le aperture domenicali e festive venivano decise in concertazione con gli enti locali. Senza naturalmente dimenticare i lavoratori, vittime due volte di questa situazione dato che, a causa della crisi, a chi è assunto vengono tagliate ore di lavoro facendolo passare dal tempo pieno al part time. Mentre non si assumono più giovani a tempo determinato, per far fronte alle vendite nei momenti che una volta erano di punta.