Rinasce la Dc? Ancora non si sa, certo è che due indizi come Letta e Renzi non fanno una prova ma quasi. Franceschini rivela che anche lui potrebbe votare per Renzi al congresso del partitone tricolore. Ma solo a due condizioni. La prima è che Renzi «lavori e si impegni per unire e non per dividere». E già qui, considerati carattere e storia personale del rottamatore di Rignano sull’Arno, non sarà certo facile. La seconda è ancor più velenosa: la bella metafora dei magnifici Mazzola-Rivera del mondiale messicano serve al ministro per ribadire che i due potevano giocare benissimo insieme. Conclusioni d’obbligo: ben venga Renzi a Largo del Nazareno ma Letta non si tocca. D’Alema sostiene esattamente il contrario, Renzi segretario sarebbe come pioggia su un terreno già saturo d’acqua.
Lancia il sasso e nasconde la mano Renzi. Dice che si candiderà alla segreteria del Pd ma ha ancora delle riserve, che vuole cancellare le correnti ma aspetta l’assemblea del 21, che vuole conquistare i voti di tutti senza però spiegare dove deve andare il Pd. Renzi ha in mente un partito leggerissimo, più che liquido e molto, molto leaderistico. In altre parole si propone di rottamare il partitone democratico. Il sindaco di Firenze sembra aver rinunciato ai sogni di gloria, leggi la conquista di palazzo Chigi. Sembra, perché una sua eventuale corsa alla segreteria di largo del Nazareno – vedi l’effetto Veltroni sul secondo governo Prodi – sarebbe in caso di una sua vittoria un fattore di squilibrio anche per il governo Letta. Renzi fa il grosso, rivela di non aver preteso tutti i parlamentari che gli sarebbero spettati (per il manuale Cencelli). In realtà si era affidato alle “parlamentarie” democrat, che non erano andate un granché. Vecchie storie ormai, archiviate con disinvoltura in favore di una nuova narrazione. In virtù della quale Renzi si accredita come l’outsider che ce l’ha fatta, il nuovo che avanza. Anche l’unto del signore: con lui il Pd vince, senza di lui perde.