Berlusconi fuori dai giochi. Dopo vent'anni - di Frida Nacinovich

Le larghe intese prescindono da Silvio Berlusconi. Il dato politico è clamoroso. Per vent’anni la presenza di Berlusconi è stata determinante nel sistema politico italiano. Sia che le formazioni da lui create (Forza Italia e Pdl) fossero alla guida del Paese – undici anni – che all’opposizione. Non c’era azione di governo che potesse prescindere dalla presenza – quanto mai ingombrante – del Cavaliere, del quale erano note a tutti le “caratteristiche”. Dal gigantesco conflitto di interessi ai ripetuti guai giudiziari. Il Parlamento è intervenuto più volte a suo favore (le leggi ad personam), sei mesi fa è arrivata una condanna definitiva per evasione fiscale. Ora Berlusconi deve abbandonare il suo seggio a palazzo Madama, nonostante sia a capo di una formazione che pur perdendo sei milioni di voti ha conquistato circa il 25% dei consensi alle scorse elezioni. Ma quel che è ancora più importante è la frattura, quasi impossibile da saldare, all’interno di una realtà politica che fino a ieri è stata un suo dominio personale. Una monarchia assoluta, al di là di un presunto dibattito interno ad esclusivo uso e consumo del leader. Ora però il Macbeth di Arcore vede muoversi gli alberi di fronte a palazzo Grazioli. Un fronte - anche composito – di parlamentari non accetta di obbedir tacendo al suo ultimo diktat, che imporrebbe la caduta del governo Letta (di cui fanno parte cinque ministri Pdl) in mancanza di un provvedimento che blocchi la sua decadenza da senatore. Il governo delle larghe intese Letta-Alfano può sopravvivere a Berlusconi. Appunto una svolta epocale.
La politica italiana, ormai ancella di decisioni prese in sedi sovranazionali, non soltanto politiche ma anche e soprattutto economico-finanziarie, può fare a meno dell’uomo che per vent’anni ne ha condizionato quasi ogni aspetto. In questa dimensione, l’annunciata rinascita di Forza Italia appare come un tentativo sostanzialmente inutile di mantenere una piccola rendita di posizione. Amplificata, certo, dal patologico sistema dei media ma marginale rispetto all’evoluzione del sistema italiano. A posteriori occorre dare atto a Giorgio Napolitano di avere compreso il passaggio politico che il paese aveva di fronte dopo le elezioni di febbraio. Anche se nessuno dovrebbe dimenticare lo strappo compiuto dal capo dello Stato nel novembre 2011, con la nascita del governo cosiddetto “tecnico” - e già di larghe intese - di Mario Monti. Il Quirinale gettò una ciambella di salvataggio a un Berlusconi che era al minimo della popolarità, dandogli il tempo di resuscitare “politicamente” per l’ennesima volta. Bloccando le elezioni anticipate che ne avrebbero sancito la sconfitta nelle urne, negò ogni possibilità al Pd e ai suoi alleati di guidare, senza larghe intese, il paese.


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