Parla Bruno Rastelli, storico dirigente della filcams e della Cgil, delegato di lungo corso alla Cgt di Milano
Intervistare Bruno Rastelli, storico dirigente della Filcams e della Cgil, significa farlo mettendo al centro non tanto scelte e posizioni individuali, quanto aspetti collettivi: “Tutta la mia attività sindacale e politica è stata impostata sul collettivo e su principi che sono stati mantenuti nel corso degli anni, nonostante siano cambiati i lavoratori (col turn over, i pensionamenti ecc.), i delegati, i dirigenti sindacali: c’è, insomma, un filo rosso che attraverso tutta la mia esperienza e che tutt’ora continua”.
Bruno è un quadro storico della Cgt (Compagnia generale trattori), azienda dalla quale è entrato e uscito a seconda degli incarichi sindacali che veniva chiamato a ricoprire: viene distaccato come segretario della Filcams di Milano fino al ’77, esce per un altro periodo dal ‘79 all’83 per lavorare all’ufficio studi della Cgil della Lombardia (è di questi anni la sua ricerca sul terziario avanzato), passa successivamente alla Cgil regionale al Dipartimento del Terziario, rientra in azienda nell’83 per dissensi col sindacato, dall’84 in poi è protagonista del movimento dei consigli, diventa presidente del comitato direttivo nazionale e responsabile del coordinamento nazionale quadri Filcams. E’ stato presidente del Comitato nazionale di garanzia della Cgil, del quale è tuttora membro.
Una vita sindacale molto densa, segnata da passaggi molto forti che segnano anche la sua collocazione nella sinistra Cgil “sin da quando ci siamo opposti alla svolta dell’Eur, mobilitando i consigli dei delegati aziendali aprendo la prima battaglia sulla scala mobile, ben sapendo che si sarebbe partiti dal taglio di alcuni decimali per arrivare alla sua totale cancellazione. Capimmo, cioè, che quella che veniva presentata come una piccola modifica in realtà avrebbe cambiato tutto cambiando radicalmente, in peggio, gli andamenti salariali”.
Scelte nette, quindi, ma sempre tenendo ferma la barra su un punto: quello di tenere insieme i lavoratori, seppur inquadrati in diverse figure professionali (quadri impiegati, tecnici e operai). “Una cosa non certo facile, ma che ci ha consentito di evitare che i quadri della Cgt, ad esempio, sostenessero la marcia dei 40.000 della Fiat”.
Ma l’unità – precisa Bruno – tiene insieme i lavoratori appartenenti a sindacati diversi: “Un lavoratore, ad esempio, che sceglie la Cisl ne mantiene l’adesione anche se non sempre ne condivide la linea sindacale nazionale, cioè anche in presenza di dissensi significativi non per questo la abbandona per passare alla Cgil. Quindi, nel rispetto di questa appartenenza devi comunque costruire una linea unitaria con questi lavoratori sui contenuti rivendicativi”. Un grosso lavoro: “Per ottenere l’unità devi discutere nel merito le scelte, su queste costruire rivendicazioni e ottenere risultati su un piano di trasparenza e coerenza”.
Ma non solo: “Nella nostra attività sindacale abbiamo sempre evitato un atteggiamento improntato alla sterile recriminazione fatta di lamentele e piagnistei. Siamo sempre stati per individuare obiettivi, organizzare la lotta per ottenere risultati. Altrimenti, se piangi, non fai altro che subire; noi invece vogliamo organizzare i lavoratori”.
Uno dei risultati più significativi è stato quello verso metà anni settanta di “trovare una linea che unificasse il mondo del lavoro abbattendo i muri professionali: in questo modo, ovviamente con una selezione e verifica delle professionalità, potevi passare al terzo livello se eri specializzato o diventare operaio superspecializzato (il “maestro”) al secondo livello, poi capo-officina e così via fino alla qualifica di ‘quadro’. Centinaia di lavoratori hanno potuto conseguire questi avanzamenti”.
Per realizzare la più alta unità tra i lavoratori Bruno e i suoi compagni hanno sempre impostato la loro attività sindacale secondo i principi della democrazia: “Ci siamo dati precise regole interne che prevedono l’elezione dei nostri organismi (coordinamento e segreteria) con voto segreto e su lista unica”. Una scelta che parte da lontano, da quando i delegati di reparto venivano eletti su scheda bianca per arrivare alle attuali regole di elezione delle Rsu. E oltre alla democrazia sugli organismi sindacali, la stessa impostazione partecipativa è stata data ai contenuti: “Prima di firmare un contratto aziendale facciamo la votazione palese di tutta delegazione trattante inserendo anche una precisa clausola secondo la quale l’accordo viene sottoscritto dai delegati sindacali con riserva di approvazione da parte delle assemblee; se questa viene meno l’accordo è nullo. Si tratta di una clausola che abbiamo dal 1973 e che ad ogni rinnovo mettiamo”. Questo ha consentito di gestire anche passaggi difficili come tre cig, visto che “non sempre ‘c’era grasso che cola’, abbiamo passato anche fasi di vacche magre. Nell’ultimo accordo ‘fuorisacco’ siamo riusciti ad ottenere che i lavoratori in cig prendessero, dalla Cgt, una tantum per lenire le loro difficoltà: 200 euro per chi è in cassa da 3 mesi, 500 euro per chi lo è da 6 mesi e mille euro oltre i sei mesi”.