Il congresso della Cgil è ufficialmente cominciato. Come lo inquadra Nicola Nicolosi, segretario confederale e coordinatore nazionale di LS?
“E’ un congresso – risponde il dirigente sindacale – segnato dalla situazione economico-finanziaria e sociale. E’ una fase caratterizzata dalla crisi della politica, in modo particolare dalla frantumazione della rappresentanza della sinistra, che ha effetti anche su una grande organizzazione sociale come la Cgil, tradizionalmente legata alle vicende della sinistra politica. Questa fase interroga anche noi. Il prossimo congresso della Cgil deve offrire spunti di politica economica, contrattuale, sociale... insomma, deve dire che mondo vogliamo.
L’Italia è in pieno declino: partiamo da qui?
Il Paese ha l’elettroencefalogramma piatto. Bisogna rilanciare la politica industriale e, stante l’attuale quadro del sistema imprenditoriale, senza un intervento pubblico in economia il Paese non solo non esce dalla crisi ma è destinato ad un declino sempre più profondo.
Che fare?
Occorre destinare risorse alle politiche industriali, sapendo che si tratta di investimenti che non daranno un risultato immediato. C’è bisogno di scelte di medio periodo, ad una politica di infrastrutturazione. Si avverte la necessità di costruire infrastrutture: un’occasione di rilancio per il lavoro e al tempo stesso un segnale netto su come riabbracciare una vocazione industriale.
Come intende caratterizzare il congresso l’area di LS?
Intanto va detto che abbiamo raggiunto una mediazione politica sul documento politico che condividiamo. Resta il nodo pensioni. Proponiamo perciò una grande vertenza generale per modificare la riforma Fornero, che abbia al suo centro il ripristino di precisi riferimenti anagrafici: 60 anni per le donne e 65 per gli uomini. Ed è importante ripristinare la pensione di anzianità. Con 40 anni di contributi pagati, un tempo il lavoratore aveva il diritto di scegliere se andare o meno in pensione. Oggi non bastano più. Dunque va ripristinato un meccanismo equo per calcolare le pensioni. E serve una riforma previdenziale che si leghi alla dinamica salariale media.
La questione investe anche aspetti di natura fiscale.
Sì, deve essere introdotto un trattamento fiscale più favorevole, come già avviene negli altri Paesi europei: dobbiamo reintrodurre la rivalutazione previdenziale e la restituzione del drenaggio fiscale alle pensioni e ai salari. Si deve realizzare un tetto pensionistico interamente indicizzato con il divieto di cumulo pensione-lavoro. Pensiamo ad una strategia che deve portare alla omogeneizzazione contributiva, da elevare gradualmente per tutti al 33%. Ci sono interi settori che pagano il 20, mentre i dipendenti versano il 33. Inoltre, ridurre l’età pensionabile per chi fa lavori usuranti è una priorità. Infine c’è la grande questione della riforma dell’Inps. Insomma, i lavoratori devono tornare ad avere voce e forza: sono loro gli azionisti di maggioranza dell’Inps e devono aver rappresentanza nel luogo dove si assumono le decisioni.