La coerenza e il coraggio di Odoardo Pini - di Calogero Governali

Odoardo Pini nacque ad Arezzo il 26 luglio 1875. Della sua infanzia e adolescenza abbiamo pochissime notizie collegate al contenuto del suo fascicolo, nel Casellario politico centrale, che la prefettura aprì a suo carico nel 1927 quando aveva già 52 anni. Da tali cenni biografici apprendiamo che fino al 1901 è vissuto ad Arezzo, anno in cui, con la famiglia, si trasferì a Milano dove trovò lavoro come commesso di negozio. In quegli anni si iscrisse al partito socialista senza suscitare sospetti nella polizia politica. Dal giornale “L’Unione” del 22 novembre 1904 sappiamo che è stato consigliere dell’Unione impiegati e commessi di aziende private di Milano, cioè dell’organizzazione più forte della categoria del commercio milanese. In tale veste svolse un ruolo di un certo rilievo nella decisione di far diventare il giornale “L’Unione” l’organo della neonata Federazione nazionale, non in modo incondizionato ma legato a precisi impegni della Federazione sull’indirizzo da dare al giornale.
Nel 1907 il Pini era già un impiegato dei Grandi magazzini Bocconi e fu uno dei 3 lavoratori firmatari dell’ordine del giorno che di fatto aprì la vertenza aziendale. Infatti la Commissione nominata dai lavoratori presentò alla direzione un progetto di regolamento generale del personale, per sostituire quello unilaterale dell’azienda, fonte di continui arbitri e vessazioni. Venne dato all’Azienda un termine (il 15 aprile) entro cui far conoscere ai lavoratori la decisione sulle loro richieste. “Visto però che a tutto il 14 la Ditta non accennava affatto a voler prendere una decisione in proposito, né volle sentire il proprio impiegato Odoardo Pini – che si era personalmente fatto avanti a nome del personale per ottenere una risposta decisiva – il personale si radunava la sera stessa alla Camera del lavoro e, all’unanimità, deliberava lo sciopero di tutte le categorie …). Il 16 aprile lo sciopero fu compatto e rimasero chiusi sia i negozi che lo stabilimento di via Vittoria, presidiati da ingenti forze di polizia. La riuscita dello sciopero provocò la furibonda reazione del Senatore Bocconi che fece affiggere degli avvisi con il seguente testo: “In seguito all’odierna arbitraria astensione da parte del personale si avverte… che coloro che non si ripresentassero in servizio per domani, 18 aprile, alle ore 8, saranno ritenuti dimissionari, provvedendosi alla loro sostituzione con nuovo personale”. I lavoratori riuniti alla Camera del lavoro elessero una commissione con l’intento di riaprire le trattative, al che il Sen. Bocconi fece rispondere che la Commissione arrivava tardi perché lui non aveva più personale. Dopo un altro tentativo a vuoto di riaprire le trattative tramite l’On. Chiesa, appoggiato dalla Camera di Commercio, vi riuscì il sindaco di Milano, Pozzi, che assunse il ruolo di mediatore tra i lavoratori e l’azienda. Il tentativo di Pozzi ebbe buon esito e diversi punti delle richieste dei lavoratori vennero accolte: preliminarmente fu ritirata la minaccia di licenziamento degli scioperanti. L’assemblea dei lavoratori accettò il protocollo dell’accordo e revocò lo sciopero.
La sconfitta dell’intransigenza padronale ebbe, poco tempo dopo, la sua rivincita infatti al Pini “che più degli altri si era adoperato per la buona riuscita dell’agitazione …, venne notificato l’ordine di passare dal posto di impiegato a 150 lire mensili a quello di commesso per lire 60”. L’intervento di rappresaglia provocò un’affollatissima assemblea del personale alla Camera del Lavoro che deliberò da un lato di rafforzare l’azione della Commissione interna per il nuovo regolamento e di farsi carico della situazione del Pini chiedendo al sindaco tramite, l’on. Chiesa , di intervenire. La mediazione riuscì a far recedere, solo in parte, l’azienda che ottenne il cambio di mansione del Pini mantenendone pero lo stipendio a 150 lire; raro esempio di perseverante arroganza padronale nel fondatore di quella che sarebbe diventata l’Università Bocconi (fucina formativa dell’alta borghesia) che tanti guasti produce, ancora oggi, con i suoi esponenti di spicco nella disarticolazione dei diritti dei lavoratori e per un ritorno all’arbitrio. Il Pini restò come lavoratore dipendente ai Magazzini Bocconi perseverando nell’attività sindacale. Nel 1917 tornò a Firenze e diventò concessionario di forniture militari. Alla fine della guerra si trasferì a Trieste e aderì successivamente (1922) al partito comunista. Nel 1926 come rappresentante della ditta di pellami Cassi si recò in Brasile dove entrò in contatto con elementi antifascisti lì emigrati; per questo al suo rientro in Italia venne fermato dalla polizia, accusato di contrabbando, e proposto per l’ammonizione. La figura del Pini ci mostra la coerenza di un impiegato di commercio che affronta a viso aperto la controparte, pronto anche al sacrificio personale, per l’affermazione dei principi di giustizia sociale e dei diritti dei lavoratori.


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