Concerto? L’ultima volta che Matteo Renzi ha scomodato questa parola fu dopo un lontano appuntamento del maggio musicale fiorentino. Poi l’ha cancellata dal vocabolario. Lui con i sindacati non concerta, li suona. Le ultime notizie lo confermano: quando la Cgil e la Cisl hanno provato a dire che il decreto Poletti è un obbrobrio, il boy scout di Rignano sull’Arno ha inarcato il sopracciglio, fatto la faccia cattiva e risposto per le rime. Come osate criticare il governo? Siete solo invidiosi perché palazzo Chigi lavora più e meglio di voi sindacati. Ma ad essere contente sono soprattutto le imprese. Industriali e imprenditori applaudono come un sol uomo all’ulteriore aumento della flessibilità. Fra le tante, pagherà solo una multa e non avrà più l’obbligo di fare assunzioni a tempo indeterminato l’azienda che non rispetti il tetto del 20% di contratti a termine sul totale degli addetti. Ancora un aiutino per far ripartire la fabbrica Italia, naturalmente a danno dei lavoratori, specie i più giovani. Il premier più amato dal sistema dei media tira dritto, plaude alla sua rivoluzione, entra di prepotenza in campagna elettorale. Renzi non vuole essere contraddetto. Si infuria quando qualcuno lo contesta, non tollera insubordinazioni nel suo partito. O con lui, o contro di lui. I sindacati che segnalano l’aumento delle forme di precarietà provocato dalla nuova versione del decreto sul lavoro vanno a finire sulla lavagna nella fila dei cattivi. Lesa maestà.
Alla vigilia delle elezioni europee, e di un turno amministrativo che deve rinnovare quattromila consigli comunali e due amministrazioni regionali – il Piemonte e l’Abruzzo – l’ultimo cavallo di razza di democristiana memoria si butta a capo fitto nella campagna elettorale. Renzi vuole dalle urne per il “suo” Pd un’investitura popolare che fino ad oggi non ha mai avuto. Vuole, fortissimamente vuole, che il partitone tricolore superi agevolmente il 30%. Vuole tenere a distanza i Cinque stelle di Beppe Grillo. Ed è addirittura costretto a sperare che la rinata Forza Italia di Silvio Berlusconi non scenda troppo in basso, perché in quel caso la bozza della nuova legge elettorale potrebbe essere tranquillamente appallottolata e buttata nel cestino delle riforme annunciate e subito abortite.
L’inquilino di palazzo Chigi si gioca parecchio in questa partita, non per caso ha chiesto agli alleati e ai pochi avversari interni di mettersi l’elmetto e scendere nella trincea elettorale. Comizi come se piovesse, e migliaia di banchetti nelle piazze della penisola, ne sono annunciati addirittura diecimila, con il simbolo del Partito democratico a un lato del palco e il faccione di Matteo Renzi dall’altro. A far le spese di questa situazione sono i pur dialoganti sindacati confederali, che si sentono dire in faccia di essere un residuo del passato. Inutili orpelli di un tempo che fu e mai più ritornerà. “Sono arrabbiati perché ho tolto loro potere. Stiamo rivoluzionando il paese e c’è chi resiste”, declama Renzi nell’ennesima intervista fiume. A suo modo l’ex sindaco fiorentino è un rivoluzionario. Anzi, un controrivoluzionario. Se potesse, lui sarebbe a capo del governo e al tempo stesso alla guida delle delegazioni trattanti con la Confindustria e le altre associazioni imprenditoriali. Bulimico, come è nella sua natura. Ma dato che la Cgil vedrà riconfermata segretaria generale al congresso di Rimini Susanna Camusso, e nulla sembra scalfire l’ormai storica leadership di Raffaele Bonanni all’interno della Cisl, occorre dare addosso ai sindacati. E promettere ai milioni di giovani (e meno giovani) disoccupati che l’Italia di Renzi sarà il paese di Bengodi. Come nelle puntate di “Amici”, dove ci si litiga, si piange, si ride, si è allegri o tristi, ma in fondo siamo tutti parte di una grande famiglia. Nel mentre Beppe Grillo fa il giro delle fabbriche in crisi, spesso e volentieri non sa quali siano i problemi specifici di questo o quel sito produttivo, ma non ha paura di presentarsi davanti ai cancelli, per dire che con questi governanti non si va da nessuna parte. Il Movimento Cinque stelle sale nei sondaggi, i media ne parlano perché quando si è stabilmente sopra il 20% è impossibile far finta di nulla e – paradossalmente ma non troppo – anche l’ex comico genovese spara a palle incatenate contro i sindacati, accusati di essersi suicidati a furia di concertare.