Lo sfruttamento da McDonald's secondo Banksy - di Gianluca Lacoppola

L’artista ha raccontato meglio di mille saggi quanto accade nella catena di fast-food

Un lustrascarpe dell’Ottocento che pulisce con uno strofinaccio il piedone rosso di Ronald McDonald (il clown mascotte della medesima azienda, e che negli Usa secondo alcuni studi è più popolare di Babbo Natale e di Gesù!). Ecco come l’artista Banksy ha raccontato meglio di mille saggi, studi scientifici e approfondimenti lo sfruttamento che i lavoratori subiscono ogni giorno nelle grandi catene di fast-food. La scultura è stata collocata per mesi davanti a decine di negozi della catena alimentare per sostenere la campagna #fightfor15, nata a New York circa un anno fa per volontà dei lavoratori McDonald’s e che chiede un salario di 15 dollari l’ora, contro gli attuali 7,25 medi (un’inezia negli Usa dove i cittadini devono pagarsi tutto da soli, dalla sanità alla previdenza). Una campagna che il 15 maggio, su impulso dello Iuf (l’International Union of Food, a cui aderisce anche la Filcams-Cgil), è diventata per la prima volta mondiale. Al di là del reale impatto della mobilitazione, l’evento ha comunque colpito l’immaginario collettivo. Siamo sinceri, il capitale è avanti anni luce rispetto alle classi lavoratrici nella capacità di organizzarsi su larga scala. E pensare che il primo movimento mondiale della storia è stato proprio quello dell’Internazionale comunista: al grido di “proletari di tutti i Paesi unitevi!”. Oggi invece lavoratori che stanno sotto uno stesso tetto spesso neanche si parlano perché hanno contratti diversi; mentre le grandi multinazionali comunicano nel mondo in poco meno di un secondo.

Per tornare alle proteste del 15 maggio, va detto che certo non metteranno in ginocchio McDonald’s, Burger King, Starbukcs etc., anche perché non sono state ovunque così radicali: dibattiti in Nuova Zelanda, volantinaggi in Sud America, flash mob nelle Filippine. Eppure la lotta per migliori condizioni di lavoro nel settore della ristorazione veloce ha comunque il merito di aver catapultato almeno per un giorno i sindacati nella modernità dell’oggi, riducendone il distacco dalle multinazionali. “Sciopero global”, “protesta social”, “sciopero mondiale” sono state alcune delle definizioni che sono circolate sui giornali italiani e, dal momento che la lotta di classe è anche lotta per la costruzione di un immaginario antagonista a quello dominante, possiamo dire che almeno un primo risultato è stato raggiunto.
In Italia lo sciopero si è svolto con un giorno di ritardo (il 16 maggio) e si è saldato con le proteste per il rinnovo del contratto nazionale con Fipe (l’associazione imprenditoriale a cui aderisce appunto McDonald’s). Un rinnovo difficile dal momento che la parte padronale vuole abolire scatti di anzianità, permessi e altri diritti essenziali e minaccia di sostituire il contratto con un “regolamento unilaterale”, l’ultima frontiera dell’attacco ai lavoratori e al ruolo delle loro organizzazioni sindacali.


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