Dalla Cgil vogliamo coerenza tra il dire e il fare - di Andrea Montagni

La Cgil è uscita dal congresso nazionale di giugno in difficoltà. Si accentua, favorito dal pesante attacco che da anni il lavoro e il sindacato subiscono e accentuato dalle divisioni interne, il divario tra il dire e il fare.
L’ultimo direttivo nazionale ha preso due importanti decisioni, una formale e l’altra informale.
L’apertura con Cisl e Uil di una campagna per la modifica della legge Fornero basata sull’abbassamento della soglia di età pensionabile a 62 anni (contro quella attuale che ormai supera in progress i 67 anni di età) e sul ripristino della pensione di anzianità attraverso la creazione di un meccanismo che combini età anagrafica e anni di contribuzione. Inoltre ha posto con forza la questione della pensione per le nuove generazioni e i discontinui. Così come ha deciso nello stesso tempo un’iniziativa per la riforma fiscale che abbassi la pressione sul lavoro dipendente, i pensionati e i bassi redditi. Questa la decisione formale. Quella informale è il sostegno di tutte le strutture – attraverso il coinvolgimento di tutti i gruppi dirigenti e delle strutture – alla raccolta di firme per un referendum abrogativo della legge ordinaria di applicazione del cosiddetto fiscal compact.
La campagna su previdenza e fisco segna una vittoria della battaglia congressuale per porre la questione previdenziale al centro dell’agenda della Cgil. Dunque gli emendamenti sono serviti eccome! Ma segna anche un primo risultato del generoso movimento delle Rsu contro la riforma Fornero che potrà approfittare delle assemblee (se si faranno) per consolidare lo stesso movimento e spingere più avanti il sindacato. Il sostegno referendario suona come autocritica rispetto al documento unitario Cgil, Cisl e Uil che con il dissenso di Lavoro Società subì l’idea liberista del pareggio di bilancio disarmando il movimento dei lavoratori.
Due decisioni importanti. Ma ancora non si vedono le azioni conseguenti. Sembra che i gruppi dirigenti della Cgil siano prigionieri di due spinte contrapposte: una a vanificare quel che viene deciso con l’inazione, l’altro ad utilizzare l’inazione come argomento di polemica interna. Chi ci rimette sono i lavoratori. Noi di Lavoro Società ci dobbiamo sottrarre a questo meccanismo. Lo facciamo valorizzando quello che la Cgil decide e premendo perché le azioni conseguano alle parole.
Per la prima volta dal XII Congresso la sinistra sindacale non è presente nella segreteria eletta (cogliamo l’occasione per complimentarci per la sua elezione con il compagno Franco Martini). Anche se la responsabilità principale di questo è nostra e dei nostri errori, il fatto resta, indebolendo la nostra capacità di contributo alle scelte dell’organizzazione. Il problema non è soltanto per il fatto che la segreteria è di maggioranza. Lo era anche quella eletta al congresso precedente nella quale noi di Lavoro Società eravamo presenti. Il superamento delle divisioni e l’unità devono restare obbiettivi dell’organizzazione. Una Cgil unita è condizione direi indispensabile per poter uscire dalle difficoltà. Ma la presenza o meno negli esecutivi del pluralismo di maggioranza è una ferita rispetto ad un congresso nel quale ancora una volta lo scontro è stato tra un’idea confederale e le spinte categoriali e dove Lavoro Società si è spesa (e divisa) per affermare la confederalità.
Per questo in Filcams, al momento dell’elezione della nuova segreteria – a cui è andato larghissimo e meritato consenso – i compagni di LS del Cdn (e per fortuna non solo loro) hanno evidenziato come un limite la mancanza del pluralismo di maggioranza dentro la nuova segreteria (del resto mancava anche nella vecchia). Quello che abbiamo sostenuto in Filcams sosteniamo in Cgil non avendo lingue differenti a seconda di dove siamo…


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