Un’indagine sui lavoratori della Grande Distribuzione Organizzata
La nostra salute dipende da vari fattori:
• dal patrimonio genetico di ciascuno di noi;
• dall’ambiente nel quale viviamo, come ben sanno coloro che vivono nelle zone inquinate del nostro “bel paese” al nord come al sud;
• lo stile di vita che conduciamo. Stile di vita in cui ha un ruolo importante l’attività lavorativa.
Il modo con il quale “siamo costretti” a lavorare influenza non poco il nostro stato di salute sia fisico che mentale.
E’ proprio per questo che l’art. 2087 del codice civile ha definito sin dal 1942 che “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
La 626/94 prima e il testo unico sulla sicurezza Dlgvo 81/08, una delle ultime leggi del governo Prodi, hanno dotato chi vuole intervenire nel concreto al fine di tutelare la salute di una strumentazione legislativa sufficiente.
Responsabilizzando in modo più marcato i datori di lavoro, introducendo la responsabilità penale per violazione alle normative.
Questo è avvenuto anche perché non era tollerabile che un imprenditore potesse guadagnare sul lavoro dei propri dipendenti per poi scaricare sulla collettività i costi conseguenti ai danni (malattie, invalidità infortuni) dovuti ad una scarsa attenzione alla tutela della salute e sicurezza dei propri dipendenti.
La presenza di una normativa non diventa però, senza l’impegno diretto e costante dei soggetti interessati, garanzia del suo rispetto nei luoghi di lavoro. Perciò la Cgil e la Filcams devono, anche in un momento di crisi, continuare a supportare l’attività dei RLS. La Filcams della Lombardia dal 2008 si è dotata di un sito (www.rlsfilcams-lombardia.org) e di una newsletter che raggiunge oltre 1200 tra rls e delegati.
Entro novembre terremo per il 7° anno consecutivo la nostra assemblea regionale su salute e sicurezza. In tale occasione focalizzeremo la nostra attenzione sulle problematiche legate alla sorveglianza sanitaria e all’attività dei medici competenti aziendali.
Abbiamo, anche grazie al lavoro di indagine scientifica di diverse Asl della Lombardia, della Toscana e non solo, evidenziato come ci sia una discrasia notevole tra le patologie di origine professionali riscontrate dagli organi di vigilanza e quelle che i medici competenti delle singole aziende rilevano e indicano come malattie professionali.
Una recente indagine dell’Epm (Ergomomia, postura e movimento) su 3380 lavoratori della grande distribuzione organizzata non fa che confermare che il lavoro nella gdo determina, contrariamente a quanto afferma Federdistribuzione, patologie invalidanti che crescono esponenzialmente con il passare degli anni di servizio. Patologie che il progressivo aumento dell’età lavorativa non potranno che incrementare (lo studio è rintracciabile nella newsletter medico legale dell’INCA, n°25, oppure sul nostro sito).
Anticipiamo i dati più i dati più significativi:
1) Le patologie principali riscontrate sono: ernia discale, sindrome del tunnel carpale, patologie alle spalle.
2) I lavoratori principalmente interessati, contrariamente a quanto si crede, non sono solo le cassiere, ma altre categorie di lavoratori (addetti alla macelleria, pescheria, gastronomia, panetteria).
3) Il Rischio aumenta di patologie aumenta sensibilmente in rapporto al maggior periodo di esposizione, con il picco nella fascia di età tra i 45 e 55 anni.
4) La possibilità di contrarre patologie non rileva una grande differenza tra soggetti con contratto part time rispetto al full time (anche perché spesso il part-time è solo nominale).
5) Le donne hanno la probabilità quasi raddoppiata rispetto agli uomini di contrarre patologie agli arti superiori.
6) Nella Grande Distribuzione Organizzata le patologie legate al rachide rappresentano la causa maggiore di assenza per malattia.
Per tornare al titolo di questo articolo, mi pare chiaro che la salute di ciascun lavoratore non è questione individuale, ma riguarda complessivamente intere categorie di lavoratori che sono esposte a rischi. Per questo solo l’azione collettiva per modificare le condizioni di lavoro può porre argine al un progressivo aumento delle patologie e delle inidoneità che mettono a rischio la stessa possibilità di esercitare la propria attività lavorativa.