La linea politica di riferimento della CGIL è stata scelta in un congresso non facile, nel quale hanno prevalso sul merito le dinamiche interne e si è in parte perduta l’opportunità di un confronto reale con una vasta platea di iscritti. Vi era la necessità non di divisioni e rotture, ma di un congresso unitario; non esserci riusciti è una responsabilità di tutto il gruppo dirigente.
Le rotture politiche prodotte e il venir meno delle condizioni per il governo unitario dell’organizzazione sono una sconfitta per tutti. Si tratta oggi di non perseverare nell’errore percorrendo strade che rischiano di portare allo sbriciolamento della “casa comune”.
Ci sentiamo per questo impegnati a contribuire alla realizzazione di una Conferenza d’organizzazione che sia utile alla CGIL ed efficace, e che, nelle linee di indirizzo, stia al merito dei problemi e non veda riprodursi le conflittualità del confronto congressuale.
Dobbiamo cimentarci in una coraggiosa quanto necessaria opera di cambiamento, di innovazione e di rinnovamento organizzativo e generazionale evitando, con una precisa programmazione, improvvisazioni o ideologiche fughe in avanti.
Va superata a tutti i livelli la logica “proprietaria” o “manageriale” che, accentrando i poteri nelle mani dei segretari generali, produce spesso l’effetto di soffocare le differenze di merito sindacale (…)
Va evitata la tendenza alla balcanizzazione territoriale e categoriale (…).
Ravvisiamo la necessità di superare errori e limiti riscontrati (…)
E’ necessaria un’analisi veritiera su di noi, sul nostro tesseramento che talvolta si riduce ad atto burocratico, sulla difficoltà di rappresentanza e sul nostro proselitismo che si dibatte in mille difficoltà, sulla tenuta economica dell’organizzazione, sottoposta su questo fronte a un attacco che non si fermerà e ridurrà le nostre entrate, costringendoci a rivedere i nostri assetti e le nostre strutture. Il primo obiettivo è mettere in sicurezza l’organizzazione, portando a trasparenza tutte le nostre risorse.
Per noi è fondamentale risalire la china del consenso e ricostruire gli adeguati rapporti di forza nei confronti del padronato e del Governo delle larghe intese e delle vecchie alleanze, che tende a disconoscere il ruolo della rappresentanza sindacale confederale.
Abbiamo di fronte il Governo degli annunci, sinora capace di raccogliere importanti consensi trasversali, interclassisti ma non di smuovere l’economia piegata alle politiche fallimentari di austerità, sempre più interdipendente, autonomizzata e globalizzata.
Un governo che, nei fatti, con i tagli lineari alla spesa pubblica e ai servizi alle persone, con il mantenimento del blocco dei contratti e dei salari per gli statali, con la conferma della Legge Fornero e la mancata rivalutazione delle pensioni alimenta l’iniquità, pratica la dottrina dell’austerità come scelta di politica economica e sociale, in questo in continuità con quelli precedenti, e alimenta la precarietà con la liberalizzazione dei contratti a termine. Sistematicamente il lavoro, pubblico e privato, i diritti e gli assetti costituzionali, contrattuali e previdenziali, vengono demagogicamente attaccati senza dare le risposte attese e utili allo sviluppo sociale e democratico del Paese, realizzabile invece solo attraverso investimenti per il rilancio e il rinnovamento del sistema produttivo e una crescita forte e sostenibile sotto l’aspetto occupazionale, sociale, economico e ambientale.
La crescita è la grande assente, e sul fronte del lavoro non ci siamo proprio. Rispetto alla crisi rimangono sbagliate sia l’analisi sulla sua natura che le ricette per uscirne.
E’ per questo che occorre rafforzare la nostra autonomia di giudizio nei confronti del governo, senza pregiudizi ma anche senza immotivate aperture di credito.
Occorre riaprire un sano quanto indispensabile contenzioso classista sul destino del Paese e delle persone, accompagnando le tante vertenze sindacali aperte sui vari fronti con un’iniziativa di carattere generale, capace di aggregare e riunificare tutto il mondo del lavoro e in grado di modificare l’agenda politica del governo e di incidere sulle sue scelte. E questa dovrebbe essere la linea comune di tutta la CGIL e delle sue categorie.
La società per noi è ancora divisa in classi, e un Paese, senza riconoscimento della composizione sociale del suo popolo, è un’entità astratta; destra e sinistra non sono e non possono essere uguali, e le distinzioni tra esse non sono superate. Le idealità come riferimento, orientamento valoriale nelle scelte, nel disegnare un progetto, nell’indicare i soggetti e le classi di riferimento, restano antidoti fondamentali al populismo e al pragmatismo che decide giorno per giorno sui problemi senza una visione di prospettiva.
L’Europa, con le sue politiche di austerità, rimane il problema per tutto il sindacato italiano ed europeo (…) Occorre rilanciare la CES in un’Europa in emergenza su molti fronti, con una disoccupazione diffusa e in aumento, una politica fallimentare e un’economia non competitiva che arranca e non cresce rispetto ad altre economie emergenti e più dinamiche del globo.
Con pari impegno la CGIL dovrà essere in prima fila, com’è sempre stata, per contrastare la ripresa in una parte non marginale del mondo e in Europa di conflitti e guerre che stanno causando la strage di migliaia di vittime innocenti, nell’assenza di un ruolo politico dell’Europa e di una nuova governance mondiale, riaffermando uno dei propri valori fondanti che è il ripudio della guerra, la difesa della pace, del dialogo negoziale, della coesistenza tra le nazioni e i popoli e la salvaguardia dei diritti, contro il terrorismo, i fondamentalismi e la barbarie. E per dare risposte adeguate alla tragedia di migliaia di profughi e di migranti che ogni giorno perdono la vita nei nostri mari per sfuggire alla miseria e a conflitti distruttivi e cercare un futuro diverso.