Andrebbero individuati alcuni obiettivi qualificanti della lotta di resistenza di fase. Sono obiettivi intermedi per uscire da questa congiuntura della crisi con un sostanziale mantenimento dei rapporti di forza fra lavoro e capitale nel nostro paese, al fine di preparare i presupposti di un’offensiva generalizzata per la fase successiva.
Rilanciando per prima cosa l’idea del piano del lavoro, con la mobilitazione per investimenti e piani di settore nazionali e territoriali. Ovviamente il piano del lavoro nelle sue premesse e conseguenze è incompatibile con il quadro politico-istituzionale europeo incentrato sul Patto di Stabilità e sul Fiscal Compact.
Riprendendo la difesa del salario diretto, e dunque dei contratti e dei diritti, sapendo che oggi è proprio nel rinnovo di questi che si subisce il più pesante attacco da parte padronale. Pensiamo solo al rinnovo di alcuni contratti, ad alcune azioni di destrutturazione dei diritti che vanno nel senso opposto di quel carattere inclusivo declamato in sede congressuale dei CCNL e dei CIA rispetto all’estesa area di lavoro grigio e precario. Pensiamo alla tentazione tutta politica di aprire a dei contratti dumping pur di sottostare alla volontà di firmare e chiudere contratti in rinnovo da troppo tempo. Contrastando la scelta di Confindustria di svuotare il contratto nazionale, al fine di frantumare il panorama salariale e avviare una nuova stagione di super moderatismo salariale.
Passando per la difesa del salario differito e indiretto, dunque del welfare, del sistema previdenziale (ormai sempre più iniquo, sostenuto dai soliti a privilegio dei pochi), in difesa del SSN e della scuola pubblica.
Arrivando ad una grande battaglia contro la precarietà, che passa dal contrasto delle tipologie contrattuali atipiche applicate, attraverso l’organizzazione dei precari (sistema di Leghe?), tramite l’unificazione di questo settore attraverso una rivendicazione unificante quale il reddito universale di cittadinanza.
E rispetto al lavoro che c’è ancora, sottoposto a continui attacchi, vanno potenziati i mezzi di difesa, quali gli ammortizzatori sociali, l’attivazione comunque di criteri di redistribuzione del lavoro (con i contratti di solidarietà), lavorando in prospettiva per un rilancio di una lotta generale per la riduzione dell’orario di lavoro a 30 ore settimanali.
Così pure non si può rimanere indifferenti sulla battaglia sugli appalti, evitando che la lotta alla corruzione venga strumentalizzata per favorire meno controlli, meno regole, maggior libertà di corrompere chi si vuole, ma soprattutto restringendo le tutele sul lavoro che andrebbero piuttosto estese. Altra immediata mobilitazione, è quella in difesa del lavoro pubblico contro i tentativi subdoli di ridurre e generalizzare l’agibilità sindacale. In tal senso va rivendicata, anche in cambio di una moderazione dei distacchi, una maggiore agibilità sui posti di lavoro dei delegati, per favorirne una maggiore presenza, autorganizzazione, autodeterminazione.
La difesa del lavoro pubblico non può prescindere oggi da una difesa dei beni comuni e pubblici, contro le nuove ondate di privatizzazioni che si stanno preparando nel mettere a segno, sia rispetto alle partecipate che ai grandi colossi nazionali (Eni, Enel, Ferrovie, Poste, Finmeccanica...), rischiando di liquidare per far urgentemente cassa un patrimonio strategico e di garanzia per il paese.
(seconda e ultima parte. La prima parte di quest'articolo è stato pubblicato su "Reds" di settembre)