25 ottobre, tutta nostra la città - di Frida Nacinovich

Quando le manifestazioni sono oceaniche, va a finire che lungo la strada non incroci nessuno dei compagni che conosci da una vita. Ma ci sono tutti, basta un’occhiata allo smartphone per vedere foto di gruppo, messaggi, selfie. La tecnologia aiuta e arriva dove non arriva Matteo Renzi. Negli interminabili cortei che in una meravigliosa giornata di sole sono arrivati (o hanno cercato di arrivare) in piazza San Giovanni, c’era il popolo italiano. Tutto quanto, rappresentato da adolescenti under diciotto, universitari di breve e di lungo corso, lavoratori precari, interinali, a tempo determinato e a tempo indeterminato. C’erano anche i pensionati con le pettorine “largo ai giovani”. Nipoti, figli, genitori e nonni, tutti insieme a combattere una pacifica battaglia di civiltà.
La manifestazione contro il jobs act del governo Renzi, contro l’abolizione di un articolo 18 che tutela dodici milioni di lavoratori (e ne sono esclusi i dipendenti pubblici), per politiche industriali e del lavoro degne di questo nome, è stata un successo andato oltre le più rosee previsioni. E non succedeva da anni, almeno dieci, che le donne e gli uomini di sinistra partecipassero insieme a un appuntamento di piazza. Una piazza dove anche tu, addetto ai lavori, militante ormai storico, non conoscevi i tuoi compagni di strada.
Sono venuti da tutta Italia, e non solo dai luoghi di lavoro, che pure segnavano simbolicamente i chilometrici cortei con gli striscioni delle Rsu, delle categorie e delle Camere del Lavoro. Solo il più grande e antico sindacato italiano, la Cgil, poteva organizzare una massa critica di queste dimensioni. Un sindacato quanto mai orgoglioso, a ragione, di rappresentare un gigantesco interesse collettivo.
Dalla Lombardia sono partite almeno quaranta/cinquantamila persone, hanno viaggiato tutta la notte per essere al mattino a Roma. Dalla Sardegna hanno perso la nave, dalla Sicilia treni e aerei, e così dalla Puglia e dal Piemonte, dal Veneto e dalla Calabria. Il treno speciale Toscano è partito alle quattro e mezzo, i quattrocento pullman con la pettorina dei “maledetti toscani” (grazie Sergio Staino) pochi minuti dopo. Chi manifestava ha perso ore di sonno e pagato dieci, venti, trenta euro per arrivare in San Giovanni. Da ciascuno secondo le sue possibilità. Come nella storia della sinistra, non solo italiana. Cosa hanno guadagnato? Una giornata da incorniciare, da segnare in rosso sul calendario dei propri migliori ricordi.
Il rosso della Cgil ha attraversato come una marea che si alzava le strade millenarie della città eterna. Si sa, i rapporti interni nella Cgil non son sempre stati rose e fiori. Le spine, anche recenti, sono ad esempio le diverse sensibilità tra la Fiom e le altre categorie rispetto al testo unico sulla rappresentanza. Ma a Roma, in un sabato di fine ottobre, non ci sono state differenze sia nella protesta che nella proposta. Susanna Camuso ha parlato a nome di tutte e tutti, anche di chi non c’era e sarebbe voluto essere lì. Ed ha detto che quello di Roma è stato solo il primo di cento passi, come avevano appena cantato i Modena city Ramblers dal palco di san Giovanni.
Tutti insieme, anche appassionatamente. Un problema per il governo Renzi, che questa vola ha fatto i conti senza l’oste, sottovalutando la portata di una mobilitazione troppo grande per essere sminuita e derubricata a passeggiata nel dì di festa. Il presidente del Consiglio è sicuramente smart. Ma il richiamo alla memoria e alle conquiste civili e del lavoro che in passato sono costate sangue, sudore e lacrime di milioni di italiani di ogni età, genere e provenienza, è qualcosa che nessun iconoclasta futurista potrà cancellare. Alla fine, quando una piazza intera ha intonato “Bella ciao”, era impossibile non avere un brivido, e anche qualche luccicone agli occhi. Non un’altra Italia rispetto a quella dei cinque sei mila della Leopolda fiorentina officiata da Renzi per la quinta volta. L’Italia, quella vera. Senza capi, senza leader carismatici, senza uniti del signore. Piuttosto una forza collettiva, come nella migliore tradizione della sinistra italiana. E con la segretaria generale del sindacato, Susanna Camusso, nelle vesti del primis inter pares, il primo fra i pari. “Ci siamo e ci saremo, continueremo fino allo sciopero generale”. Uno sciopero per il lavoro, con i suoi diritti e le sue tutele, “perché senza lavoro non si cambia ma si arretra. Questa piazza non è una passerella di qualcuno per vedere chi c’è e chi non c’è. E’ la piazza del lavoro che rivendica risposte. Nessuno in buona fede può dire che togliere l’articolo 18, demansionare i lavoratori e mettere le telecamere in azienda fa crescere il lavoro”. Matteo Renzi non ha trovato meglio da dire che alla manifestazione c’era meno gente che nel 2003. Contento lui…


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